C’è voluto un emendamento dell’ultimo minuto per rinviare di due anni l’assoggettamento all’Iva degli enti no profit, anche quelli che non svolgono attività commerciali. Ora partirà un tavolo di confronto che – secondo il Forum del Terzo Settore – l’esecutivo (l’ultimo il Conte-2) si è impegnato più volte ad aprire sulla fiscalità di un mondo vastissimo, a cavallo fra economia e società. Ma il caso resta emblematico: sembra non esserci mai una “Legge di bilancio giusta” per dare impulso all’economia civile: che nel sistema-Paese, secondo gli ultimi dati Istat, conta su 361mila soggetti e oltre 860mila addetti.

L’argomento – anzitutto delle forze politiche – può apparire fin troppo scontato in questa fine 2021: le priorità della politica finanziaria sono “ben altre” (simbolico il pressing quasi compatto a favore della proroga larga del superbonus edilizio). Invece è scontata l’obiezione: mai come in questo passaggio d’epoca – imposto dalla pandemia, ma non solo – la spinta del Terzo Settore all’aggiornamento dei paradigmi economico-sociali appare la priorità. Anzi: proprio l’emergenza Covid ha indicato quali margini concreti di “creazione di valore” tenga in serbo l’economia “né di Stato né di mercato”. L’Ospedale degli Alpini a Bergamo e quello della Fiera di Milano hanno confermato quali capacità realizzative abbiano da un lato una consolidata tradizione di volontariato sociale, dall’altro una nuova disponibilità al mecenatismo (e fra l’altro sono pochi i Paesi che possono contare su entrambe le dinamiche).  

Non guardare al Terzo Settore all’inizio del 2022 vuol dire ignorare – non comprendere – quali “balzi in avanti” abbia compiuto il Sistema-Paese nei vent’anni seguiti all’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione: nonostante oggi sia molto di moda criticare – strumentalmente – una riforma assai più rilevante del taglio dei parlamentari. Perfino l’algida Ue dei tecnocrati ha ufficialmente lanciato un Social Economy Action Plan: riconoscendo che il “bene comune” prodotto da un universo di milioni di imprese sociali, cooperative, fondazioni, associazioni senza scopo di lucro, producono un Pil stimabile fino al 10%. E si tratta meno di quanto si pensi di attività tradizionalmente associate al Terzo Settore; e più di quanto si pensi – fra l’altro – all’innovazione scientifica e tecnologica.

Il Parlamento italiano che – per la verità – è giunto a riordinare la disciplina del Terzo Settore non può sottrarsi alla responsabilità di sbloccare i colli di bottiglia che ancora frenano o impediscono tout court una “fiscalità sussidiaria” fatta non solo di aliquote o saldi, ma soprattutto di un modo nuovo di essere una democrazia di mercato nel tumultuoso inizio del secolo ventunesimo.

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