In quest’anno molto particolare anche Santo Stefano si è preso un po’ di riposo. La Solennità della Sacra Famiglia, infatti, ha sostituito la festa del Santo a causa della concomitanza delle due memorie liturgiche in giorno di domenica. Il Vangelo di Luca, che il rito romano ci fa leggere per l’occasione, descrive un episodio apparentemente minore della vita di Cristo che è noto con il nome di “Ritrovamento di Gesù fra i dottori del tempio”. In esso Maria e Giuseppe appaiono come genitori distratti che perdono di vista il proprio figlio e Cristo potrebbe sembrare una sorta di preadolescente particolarmente presuntuoso: il lettore, al termine della storia, resta certamente pieno di domande e con l’amaro in bocca, interrogandosi sul senso di una simile pericope.

Al di là delle esegesi più erudite, ciò che è importante evidenziare è il tempo di Natale in cui questo brano viene letto. Se a Natale, infatti, noi contempliamo l’ingresso di Dio nella storia “qua Homo”, quello stesso uomo deve – necessariamente – entrare in azione e iniziare il Suo ministero.

Questo è il primo elemento che è fondamentale ribadire: ciò che la nostra vita attende, ciò che può rompere la solitudine in cui siamo immersi e che ci può far vivere con dignità le sfide del nostro tempo, non è qualcosa di fermo, un libro o un rito, ma è qualcosa di vivo, che si muove, che cambia, che usa il tempo per parlarci e provocarci.

Si comprende così perché, dopo i fatti della nascita, Luca ci racconti di quello strano Bar mitzvah di Gesù in Gerusalemme: tutti i bambini ebrei, a circa dodici anni, sono protagonisti di una festa che segna l’inizio della loro presenza dentro la comunità. Analogamente il figlio di Maria e Giuseppe dà inizio alla propria presenza dentro la comunità con un pellegrinaggio rituale che mostra come il Natale sia solo il punto di partenza della Sua Presenza nel mondo. Se Gesù rimanesse quello di Betlemme, il bambino profetizzato dai padri e annunciato dagli angeli, per noi non cambierebbe niente e il cristianesimo sarebbe solo una bella favola da raccontare all’insorgere dell’inverno. Invece Cristo comincia, Cristo fa, Cristo inizia.

In che modo tutto questo accade? Nei Quaderni di Malte Laurids Brigge il poeta Rilke descrive l’iniziare come un “lasciarsi ferire”. Gesù si lascia incontrare, si lascia interpellare, si lascia ferire e – in questo modo – dà origine alla Sua Presenza fra noi. Una cosa comincia davvero quando ci urta, ci scomoda, ci sposta, ci ferisce. La vita inizia con un pianto. La verità di una situazione emerge solo con le ferite.

Maria e Giuseppe non è che non comprendano tutto questo, ma restano spiazzati dal tempo in cui accade. I due erano certamente pronti a quel figlio strano che era capitato loro, ma la loro lenta preparazione ai fatti che sarebbero seguiti era stata interrotta da quel brusco avvenimento. Il Signore comincia la Sua opera senza avvisare nessuno, senza convenzioni sociali o di buona creanza: Egli inizia e sorprende tutti.

Nella festa della Sacra Famiglia tutti siamo chiamati a iniziare, a recuperare il nostro posto nel mondo, facendoci ferire dalla realtà perché l’evento del Natale non resti solo una pia emozione. È questo, in fondo, il compito di ogni famiglia, la provocazione che un vero affido o una vera adozione devono offrire all’ospite accolto. Alla luce di quanto detto si potrebbe dunque dire, citando Kafka, che l’unica paura che dobbiamo avere è quella di morire senza aver mai vissuto. Perché sempre impegnati e bloccati da tutto, ma mai convinti e decisi a giocarsi nella partita della vita. Tutti perfetti, evitando le ferite o esasperando i pochi contraccolpi che hanno scosso una vita seduta, un’esistenza borghese. In fondo sempre pronti a giudicare tutti, ma mai disponibili a cominciare davvero qualcosa.

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