La relazione tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese è una specie di amoroso groviglio che vive di fasi altalenanti. Dopo la trasformazione della questione meridionale in questione settentrionale, con la rivendicazione di una minore professione fiscale per chi vive al Nord, giustificata dagli sprechi nel Mezzogiorno, la politica ha dovuto accettare la visione europea che ha imposto di guardare ai fatti e non alle dinamiche del consenso facile. Rendere coesi i territori dell’Unione Europea, ed in particolare il Mezzogiorno, con il resto del Paese è l’obiettivo dichiarato del Piano europeo.
Ma la fase del regionalismo differenziato non è stata accantonata, ha solo subito per il momento un oggettivo ridimensionamento dovuto al riemergere del concetto di unità nazionale utilizzato per superare la fase pandemica anche dal punto di vista economico. Il progetto di una macroregione del Nord con tasse più basse e notevole autonomia resta nella mente di parte dei politici, che ne coltivano la possibile attuazione offrendo in cambio una non meglio specificata solidarietà con il Mezzogiorno.
Questo progetto è alieno al governo Draghi che invece punta tutto sulla coesione e sull’accentramento delle scelte. Finché questo governo resiste i possibili accordi devolutivi di competenze dallo Stato alle regioni sono di fatto accantonati. Le turbolenze sul futuro di Draghi e del suo governo hanno fatto riemergere istinti localistici con iniziative politiche che mirano a realizzare il progetto. L’appello dei governatori del Nord, le iniziative con la Gelmini e un pressing costante nel mantenere viva questa ipotesi sono la traccia da seguire per comprendere come sarà il futuro del dibattito politico su questi temi.
Per arginare questa strategia non serve solo lanciare appelli e dare risalto alle evidenti contraddizioni che questo percorso apre, ma è necessario soprattutto che il Mezzogiorno recuperi iniziativa politica e faccia valere le sue vocazioni. La bellezza dei luoghi va preservata, l’umanità del popolo del Mezzogiorno esaltata contro le sue devianze criminali, la politica deve abbandonare le pratiche clientelari, i cittadini pretendere da se stessi e da chi li rappresenta un nuovo civismo.
Nel 2022 sarà questa la vera sfida. Da un lato il Mezzogiorno dovrà spendere, e bene, i fondi; dall’altro il Nord produttivo cercherà maggiore crescita e minore pressione fiscale attraverso progetti di autonomia.
Questa spirale può avere una sua capacità di generare un vero e propio boom economico o rischia diventare la guerra definitiva tra pezzi di Paese. Se uno dei due attori di questo processo non sarà all’altezza i divari aumenteranno e la strada sarà segnata. Un Paese spaccato e che non parla la stessa lingua in termini macroeconomici diventerà difficilmente governabile a livello centrale.
Per questo la sorte di Draghi non è ininfluente. Se resterà a capo del Governo avrà in mano leve limitate, ma efficaci, per gestire il percorso. Se andrà alla Presidenza della Repubblica potrà giocare un ruolo rilevante solo in termini di garanzia, rischiando di assistere al fallimento della strategia europea.
Ed è probabile che molte delle scelte dei partiti sul tema Draghi saranno influenzate da queso scenario. Sanno che Draghi ha un progetto politico chiaro e che al momento ha l’appoggio dei poteri reali ed il sostegno popolare. Finché sarà saldamente al governo, il Paese sarà rappresentato e immaginato nella sua interezza. Se il suo Governo naufraga, riemergeranno le forze centrifughe della dissoluzione del concetto di Paese e ciascuno tornerà a coltivare il proprio egoistico punto di vista politico. Molto per convenienza elettorale a breve e poco nell’interesse vero dei cittadini.
Tutto questo scenario ha una possibile soluzione positiva solo se avremo un Paese in grado di uscire dai propri limiti e che avrà la forza di mettere assieme le energie migliori e guidare la crescita europea partendo dalle aree che hanno più potenziale.
L’anno che viene sarà nella sostanza un passaggio essenziale per l’Italia. Un anno fondante per il Paese o l’anno della disgregazione. La relazione tra il Mezzogiorno e il Nord può creare un grande amore o sfociare in una grande guerra. Ed il primo passo andrà in una direzione o nell’altra, che apparirà più chiara, vedendo quale sarà la sorte di un uomo che ha nel destino il suo essere al centro delle crisi. Draghi può essere il primo premier, o presidente, di una nuova speranza o l’ultimo di un sogno di unità e prosperità per il Paese. Il 2022 ci darà la risposta.
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