Nel suo ultimo libro La vida pequeña, José Ángel González Sainz descrive con umorismo nero il risultato di uno dei suoi “tentativi di ritiro”. Il frutto di una delle fughe dalla realtà delle quali parlava Julián Carrón nel suo articolo di Natale non è stato precisamente gradevole. Lo scrittore spagnolo, nella sua gioventù sognatrice, è fuggito almeno per un giorno alla ricerca del paradiso in una stupenda e solitaria spiaggia dell’isola di Minorca. Camminò per ore sotto il sole, cercò e ricercò strade e sentieri fino a trovare, alla fine, un’acqua chiara e azzurra, di un azzurro felice. Vi si bagnò come era venuto al mondo, approfittando di un luogo dove non arrivava lo sfruttamento capitalista, dove l’istante soddisfaceva tutti i desideri, dove tutti i presenti possibili si affollavano come se si fosse raggiunta l’eternità.
Mentre il romanziere era tutto gioioso, fu raggiunto dagli escrementi buttati fuori da una nave e confessa che da allora il suo ideale di fuga è stato ferito a morte. Era arrivato a ciò che sembrava il cielo, la fuga da tutto, e si è ritrovato con un metabolismo soddisfatto che gli ha imbrattato la faccia con il suo nulla. Confessa che “uscì da lì come un eroe della comprensione” e capì che certe fughe non portano la pace.
Non servono le fughe, perciò González Sainz sottolinea: “Viviamo la maggior parte del tempo soffocati, ingobbiti (…). Ingobbiti dal lavoro e ancora di più dall’ozio, dalle avversità e perfino dalla fortuna. (…) Diamo la nostra opinione, questo sì, diamo sempre la nostra opinione”. È proprio di “un mondo che è crollato moralmente; è accaduto molte volte nel corso della storia, però ora ci ha preso con la testa tra le nuvole (…) Il nostro treno andava veloce, più di quanto avessimo immaginato”. Abbiamo vissuto in un mondo che ci sembrava solido, perfino la routine delle nostre lamentele ci sembrava solida. E ora ci rendiamo conto che non sappiamo che cosa fosse buono. Abbiamo vissuto “così sempre sulle spine, con la mente ordinariamente altrove rispetto al momento in cui vivevamo, su una cosa diversa da quella con cui ci trovavamo, talmente in un altro luogo e in un altro tempo futuro che i nostri momenti quotidiani sembravano persi in anticipo”.
Nel mondo in cui abbiamo vissuto e continuiamo a vivere, rimaniamo indifesi, sfiniti. “Ti sembra di non riuscire ad alzarti, o che non valga neppure la pena di alzarsi, l’unica cosa che piacerebbe è dormire e dormire, e svegliarsi in un altro mondo”. Tuttavia, c’è qualcosa in noi che non si arrende, quasi senza volerlo, “da una stanchezza profonda ed esistenziale (…)” non puoi smettere di “sentire voci lontane tra i rumori (…) segni nella nebbia che darei qualunque cosa per saper interpretare correttamente” (…) “scruti dolente e con angoscia per vedere a quale mano potresti ora afferrarti”. González Sainz, ricordando Camus, afferma che viviamo “con il sospetto che esista qualcos’altro”. Con il sospetto che “oltre guadagnarsi la vita come si può, cercare di divertirsi nei modi che ci divertono, esiste anche un’altra cosa e questa altra cosa (…) può avere il potere di trasformare tutto, di farlo buono o vero, abbellire tutto, le abitudini, la vecchiaia, il lavoro, il dolore e l’amore e la gioia”.
Il fatto è che niente è sufficiente. Potremmo anche essere tutto sempre tutto in ogni momento, “ma questo tutto che c’è risulta non essere sufficiente (…) ci lasciamo sempre dominare da un’assenza di qualcosa nel tutto, di un altro momento in questo momento”.
Lo scrittore spagnolo, che non è credente, propone di “scendere dalle Maiuscole”. “Perfino Dio – aggiunge – nel farsi uomo, scese dalla sua Maiuscola”. Per questo occorre saper vedere ogni momento, “bisogna poterlo vedere e accoglierlo, fare spazio a ciò che c’è, fargli largo e lasciare che si mostri. Ma noi non siamo accoglienti, vogliamo un risultato subito. Non accogliamo ciò che c’è, ma vogliamo realizzare ciò che ancora non c’è”. La posizione di chi vuole ottenere un risultato non è conveniente, perché “la vita ha sempre luogo letteralmente in un dato momento, (…) ciò che ci dà in questo dato momento non arriva come ricompensa, né per merito, ma gratuitamente e noi lo perdiamo, tanto per cominciare”. “Le persone veramente allegre sanno che in ogni momento della realtà, sia quale sia, già c’è tutto”.
È stata questa l’esperienza che lo ha segnato fin da bambino, quando scappò da casa e si rifugiò sotto la pioggia in una baracca di legno. Lì lo raggiunse “lo stupore dell’adesso, lo stupore di esistere, davanti a ciò che esiste, e la comunione dell’esistenza”. Il bambino che fu ora vuole fuggire, ma non “fuggire dalla realtà, ma fuggire verso la realtà, una realtà più reale di quella che crediamo reale e consideriamo reale”. Per fare questo viaggio verso “la realtà più reale” di cui parla González Sainz, in questi giorni abbiamo davanti ai nostri occhi un fatto umano, reale, che mette in discussione le nostre fughe.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.