Al giro di boa di fine anno due fatti economici stanno bucando la media-sfera, essa pure fatalmente ripiegata dal Covid. Il rialzo dei prezzi dell’energia è “macro” in tutte le sue dimensioni; il pressing degli imprenditori italiani per una nuova politica degli ingressi migratori appare invece per ora “micro”: certamente in Italia. Ma proprio nel secondo Paese manifatturiero dell’Ue la loro combinazione si mostra esemplare degli esiti puntuali del confronto incessante fra realtà e ideologie.
La transizione eco-energetica non è sicuramente un frutto ideologico. Il Recovery Plan europeo – che integra anche il Pnrr italiano – l’ha scelta come direttrice strategica in un esercizio politico-economico di realtà. Rendere la produzione e il consumo meno nemici dell’ambiente e del clima è un impegno che gli certamente gli europei di oggi sentono verso se stessi e verso chi abiterà il Vecchio Continente domani (non diversamente da come lo sente un Papa venuto in Europa “dalla fine del mondo”). Ma una civiltà socio-economica non può essere distrutta e ricostruita nell’arco di una notte. Inizia su un pianeta che vive ancora di vecchissimo carbone, di petrolio invecchiato a mezzo secolo dallo choc mediorientale, di nucleare sempre sospetto, di gas inesorabilmente divenuto arma geopolitica. E la “lunga marcia” verso un’economia verde – per esempio attorno a una mobilità elettrica – comincia quando milioni di addetti operano ancora dentro e attorno a un’industria cosiddetta “tradizionale”: ma per ora robusta fonte di Pil e occupazione e principale incubatore del “next manufacturing”.
È su questo sfondo di realtà che anche il Governo italiano si accinge ad affrontare l’ennesima emergenza nell’emergenza: quella delle “bollette energetiche impazzite”. Il sostegno ai bilanci di famiglie e imprese messe sotto nuova pressione in una fase già difficile è un impegno obbligato nel breve periodo. Ma sarà un errore non cogliere l’occasione per una riflessione politica di fondo: l’ambientalismo estremista ed antagonista – di fronte alle prove estreme della realtà, come l’uso politico-militare del gas da parte della Russia di Putin – rivela la sua natura ultima di fake ideologico. E questo varrà evidentemente anche per prove meno estreme ma forse più strutturali: quella sul “nucleare verde” adottato dal Recovery Plan si annuncia come un primo test. Ma non meno importante sarà la modulazione di tempi e modi della doppia transizione – ecologica e digitale – imposti/offerti all’industria (tutta: a cominciare da quella “agro”) di una Ue manifatturiera avanzata.
In un quadrante fra i più vitali di questa Ue – il Nordest italiano – la realtà sperimentata attorno alla piccola e media impresa sta sollecitando una riflessione non del tutto attesa sul tema bollente dei flussi migratori. Dall’Assindustria Venetocentro – che associa gli imprenditori di Padova e Treviso – è giunto un appello al Governo a non chiudere i cancelli a un’immigrazione regolata. La manifattura italiana ha fame di addetti (qualificati) non meno di quella tedesca: e la pandemia sta soltanto accelerando dinamiche consolidate di lungo periodo. Anche su questo terreno il percorso delineato è quello della realtà: di scelte adottate dal Governo del Paese, condivise con parti sociali e corpi intermedi, attraverso strumenti adeguati e ben controllati (la definizione del numero di nuovi permessi di soggiorno). Ed è evidente che un angolatura lontana da ogni “opposto estremismo” può consentire un approccio finalmente largo: anzitutto a ricomprendere la politica dei flussi migratori con quella della disoccupazione giovanile nazionale, facendo leva su nuovi investimenti in education e su un rapporto evoluto fra scuola e impresa sul terreno dell’occupazione.
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