Il Paese sta crescendo molto di più di altri in Europa. Il Pil al 6,4% di crescita per questo anno ha consentito un miglioramento del rating da parte di Fitch, una delle agenzie che monitorano le emissioni di debito, che ha alzato la valutazione sull’Italia per la prima volta dopo circa vent’anni. Il rapporto deficit/Pil scenderà attorno al 150%, un ottimo risultato se paragonato al baratro del 2020. Per il prossimo anno si attende una crescita superiore al 4% con un rafforzamento ulteriore dell’economia.
Il quadro macroeconomico si avvantaggia della ripresa dell’export e dei consumi interni, ma manca ancora l’effetto degli investimenti pubblici e, soprattutto, la crescita è localizzata nelle aree locomotiva mentre fa fatica nel Mezzogiorno.
I due aspetti sono correlati. Senza gli investimenti nel Mezzogiorno il tessuto produttivo è incapace di generare autonomamente un livello di crescita tale da recuperare il divario tra Nord e Sud e senza una reale capacità di spesa delle amministrazioni i progetti previsti difficilmente saranno attuati. l’Italia è tra i Paesi dell’Ue che finora ha fatto registrare uno dei livelli più bassi nell’utilizzo di fondi per lo sviluppo sociale e regionale messi a disposizioni dall’Unione per le politiche di coesione tra il 2014–2020. È quanto emerge dai dati della Commissione Ue, secondo cui il tasso di spesa da noi si è attestato al 48,2%. Peggio dell’Italia hanno fatto Romania (46,5%), Slovacchia (43,3%) e Spagna (40,5%).
Per uscire da questa impasse il ministro Brunetta ha lanciato un “click day” per assumere mille figure di alta professionalità da applicare nei territori per supportare i progetti del Pnrr e gli enti locali dovrebbero a breve avere le risorse umane per gestire la spesa.
A questa prima difficoltà si aggiunge il tema del disastro dei comuni. Molti, nel Mezzogiorno, sono in situazioni di default. Senza fondi, pieni di debiti e svuotati di personale i sindaci rischiano di diventare agnelli sacrificali più che amministratori.
Dopo 15 anni di tagli ormai la macchina amministrativa di molti comuni è allo stremo. Questa povertà di risorse finanziarie ed umane impedisce di progettare e spendere facendo mancare un apporto fondamentale alla ripresa economica.
Senza un supporto adeguato della componente investimenti la sola economia reale, che ben sta reagendo, non riesce a produrre uno shock di magnitudine tale da far arrivare il Pil del Mezzogiorno ad un livello tale da recuperare il gap con il Nord del Paese.
Il tema è solo politico. Da un lato la nuova disponibilità di fondi fa riemergere gli egoismi con spinte autonomiste, il che porta i politici locali delle aree avanzate a rivendicare sgravi e spese nei loro territori. Per altro verso la politica dei meri sussidi alle fasce deboli del Mezzogiorno offre una comoda scorciatoia. Spendere qualche miliardo l’anno per la pace sociale in quei territori ha un effetto metadone che sopisce il disagio pur senza risolverlo. Inoltre ha il vantaggio di creare consenso rapido per le forze politiche che lo sponsorizzano.
Di certo un percorso di crescita dell’economia del Mezzogiorno è più complesso, non solo per i motivi descritti, ma anche e soprattutto perché, accanto ad investimenti da fare e al rilancio dell’azione amministrativa, serve un cambio di passo nella mentalità di politici e cittadini che quelle aree vivono. L’abitudine al sussidio crea dipendenza e slega i risultati dal proprio impegno. Passare da un sussidio ad un salario dà maggiore dignità, ma impone anche una maggiore applicazione ed un nuovo spirito di laboriosità che spesso è frustrato da fattori esterni. Criminalità che attrae con facili guadagni, infrastrutture sociali inesistenti ed un’atavica attitudine alla dipendenza dalle prebende sono incrostazioni culturali gravi che vanno combattute. Combattere questa mentalità è poco appagante sul piano del consenso politico ed in pochi si mettono alla prova, preferendo invece offrire scorciatoie per “dare un mano” procacciando sussidi o piccoli impieghi.
Gli investimenti da fare, invece, sono minacciati dall’invadenza della criminalità economica, che è pronta ad intercettarli. Il rischio è che la macchina degli investimenti finisca per dare un passaggio alle persone sbagliate facendo perdere risorse.
Questi temi sono ancora sullo sfondo, opachi e nascosti, ma sono gli impedimenti reali che il Governo Draghi deve superare se vuole adempiere al compito di fare del progetto di rinascita e resilienza finanziato dalla Ue un successo. E di questo devono occuparsi le forze politiche che lo sostengono se vogliono adempiere al loro ruolo di servizio al Paese.
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