Uno tsunami invisibile di umanità

L'incontro con Julian Carrón: esperienze condivise già in atto

Una piccola increspatura nel mare quasi piatto della Rete. Questa è l’impressione delle quasi 30mila visualizzazioni già raggiunte dal video “Educazione, comunicazione di sé. Crescere e far crescere in tempo di pandemia”, già a poche ore dal suo svolgimento in streaming sabato 30 gennaio. Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, si è messo in dialogo sull’emergenza educativa attuale a partire dalla lettera aperta di alcuni insegnanti ed educatori del movimento da lui guidato.

La durata, un’ora e mezza, non tragga in inganno. Non si tratta di una di quelle prolusioni di acuti intellettuali di varia risma che sminuzzano con analisi occhialute e cattedratiche le fatiche attuali. Piuttosto, i novanta minuti rappresentano il tempo minimo per entrare in uno di quei villaggi – per riprendere un proverbio africano caro a Papa Francesco – necessari ad educare un bambino. Un villaggio in cui è possibile ascoltare la voce della pediatra che assiste all’incremento dei suicidi giovanili e quella del padre che si sente rimproverare dalla figlia la sua faccia corrucciata, passando per il giornalista prestato al mondo della scuola, fino alla nonna e alla preside, ma ancora tanti altri… Tutte voci unite, nella differenza di prospettive e di visioni, dalla passione di educare in questo tempo, rivelatore certo di fatiche passate ma anche di sfide inedite, comunicando ai più giovani una speranza per la vita presente e futura.

In questo senso, sono tutti educatori che hanno avuto la fortuna di aver trovato uno spazio e un tempo per raccontarsi e condividere la propria esperienza, fatta di gioie, di fatiche, di domande, di preoccupazioni: una cosa rara poterlo fare insieme, senza polemiche, lamentele ed equilibrismi.

Educatore di educatori, Carrón ha condotto il dialogo allargando gli orizzonti e valorizzando i punti di forza già presenti in ogni esperienza condivisa. Di fronte al torpore e alla chiusura dei ragazzi, “occorrono persone che siano presenze, indici di speranza” – incalza sin dalle prime battute. Ma la speranza – obietta qualcuno – non ce la si può dare: se non la si ha stampata in faccia, i ragazzi ti smascherano (loro direbbero “ti sgamano”). In effetti – come chiarisce l’esperienza del giornalista che ha svolto una supplenza per nove mesi in una scuola, la maggior parte dei quali a distanza – il problema è che anche l’educatore sia generato, risvegliato da un incontro. Quindi – raccoglie la palla al balzo Carrón – “non è un problema di capacità, ma di lasciarsi generare. I nostri limiti non sono obiezione”.

Lo conferma Bettina – parla a nome di un gruppo di genitori preoccupati per i loro figli sempre più svogliati – che racconta come tutto sia ripartito per loro dal dialogo con un amico: loro sono stati rilanciati, hanno preso iniziativa con i figli, questi figli con altri amici, al punto che anche il figlio più refrattario alla fine ha detto: “domani vado anche io con loro”.

Carrón valorizza quanto raccontato, richiama alla mente esperienze del suo insegnamento in Spagna, non è acceso da un entusiasmo nostalgico, ma presente, sembra proprio che stia imparando anche lui da questa serata insieme. E’ questa anche l’esperienza di Cristiana, che di fronte alla denuncia di una sua alunna di non “essere chiamata”, ma non per i voti, ma proprio di non essere degna dell’attenzione della professoressa, si ricorda che anche lei ha bisogno di “essere chiamata”, di essere amata ogni mattina, prima di entrare nella classe virtuale. “Ecco la scoperta – è sempre Carrón – i tuoi allievi sono la risorsa più grande per noi e diventano i nostri compagni al destino perché ci sfidano ad essere noi stessi e così noi possiamo diventare loro compagni”.

Dopo più di un’ora di serrato dialogo, sembra ormai chiaro che il problema educativo non dipenda da regole, strategie o assetti particolari, ma dall’umanità degli educatori che mettendosi in dialogo come fratelli riconoscano davanti al loro padre qual è la vita che li mette in moto, come gli anziani del villaggio che si trovano intorno al fuoco alla fine di una giornata dopo aver messo i bambini a letto. Gli educatori, al caldo di questo fuoco, pescano l’energia per affrontare l’oggi, a distanza o in presenza, per combattere ed essere nello stesso tempo pazienti, per rischiare sulla libertà dei più giovani senza essere né remissivi né invadenti.

L’incontro è concluso e si è presi dall’inebriante impressione che quell’increspatura nel mare del web da 30 mila visualizzazioni sia solo l’indice di uno tsunami invisibile di umanità che già si riversa quotidianamente in tante famiglie e classi, provocando il cuore pur ferito ma sempre verace dei giovani di tutti i tempi, ancor più dei nostri.

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