La fine del governo Conte porta con sé una positiva ansia di concretezza. Il vizio originario delle maggioranze precedenti, costruite sul paradigma della comunicazione come principale obiettivo dell’azione di governo, pare archiviato dai modi sobri di Draghi, che ha costruito la sua squadra nell’insolito silenzio dei retroscenisti, incapaci di intercettare liste e nomi fino allo scioglimento della riserva innanzi a Mattarella.
Il silenzio dei social, rotto solo dalla massa grillina ancora esterrefatta della soluzione, aiuta a vedere gli obbiettivi con maggiore nitidezza.
Governare non è un’attività priva di riflessi comunicativi, ma era necessario che gli atti di governo tornassero al centro della comunicazione e non le ambizioni dei singoli o dei gruppi che del governo volevano gli onori e, spesso, non gli oneri. Ora che il momento della clickcrazia appare superato, si rimettono al centro le scelte vere. Ogni ministro sa, in cuor suo, che conterà molto di più il suo capo di gabinetto che il suo portavoce, ed anche questo è un sintomo di evoluzione nella gestione del Paese.
Questo mese trascorso vedendo naufragare Conte, figlio di quei tempi, ha anche il merito di aver segnato una crasi metodologica e di obbiettivi. Draghi conosce bene i meccanismi di governo ed ha una visione chiara e assolutamente coerente con l’Europa sui tutti i temi posti. Dei pilastri su cui fondare le riforme, che passano dall’innovazione dei processi produttivi verso un’economia green alla digitalizzazione dei processi amministrativi, al recupero delle diseguaglianze di genere e generazionali, uno resta sul tavolo con maggior urgenza, il riequilibrio tra i territori e quindi del Mezzogiorno con il resto d’Europa.
La convergenza tentata da Provenzano si è bloccata dopo le slides dello scorso anno, alla presentazione del Piano per il Mezzogiorno, ed ha ottenuto in finanziaria solo degli sgravi fiscali e sul costo del lavoro che scimmiottano soluzioni già adottate negli anni precedenti. Sono mancate del tutto le decisioni più rilevanti sui temi dello sviluppo, ovvero la defiscalizzazione di aree precise destinate allo sviluppo della produzione e della logistica (le Zes), un progetto sull’economia del mare con il Mezzogiorno hub dello sviluppo del Mediterraneo, lo sblocco di opere e cantieri con la nomina dei commissari, nomine che, colpevolmente, tuttora giacciono incompiute.
Ora il dossier passa dalla mani di Mara Cartagena, donna del Sud, salernitana di origine, da decenni in politica, che si trova tra le mani il più delicato dei dossier, quello che rappresenta uno dei potenziali punti di caduta dell’intero piano Next Generation Eu.
La Carfagna potrà approfittare della spinta che verrà direttamente da Draghi su questo tema. A differenza dei predecessori non dovrà lottare per avere spazi finanziari di manovra, che appaiono già consistenti con l’ultima riscrittura del Recovery Plan, ma dovrà confrontarsi con l’attuazione delle decisioni e con la possibilità di offrire al Mezzogiorno dei risultati non nel volgere di qualche decennio ma nel giro di qualche mese. Non tutto e non subito, ma molto e velocemente. Questo perché i tempi ormai sono stretti e purtroppo maturi per una crisi molto complessa da gestire per il Mezzogiorno nel prosieguo degli anni.
E uno dei temi sarà passare da un strategia fatta di sussidi ad una fatta di sviluppo, ma senza creare tensioni sociali e ulteriori sofferenze a chi già è in difficoltà con la pandemia.
Coniugare le due cose, sviluppo produttivo e sostegno sociale, è uno dei grandi temi che appare, come la congettura di Rienmann, irrisolvibile. Per fortuna non è matematica teorica ma governo e si può, con il governo, sperimentare nuove soluzioni. Un errore sarebbe perseverare nella linea sin qui tenuta dei rubinetti aperti senza limiti a disposizione della spesa sociale e di investimenti improduttivi, generando quel “debito cattivo” che Draghi ha ben descritto e che ha detto con chiarezza di non valere.
La strada nuova è quella di legare indissolubilmente sostegno sociale ed impegno individuale, di mettere assieme gli interventi con grandi operazioni di ammodernamento infrastrutturale e creare al contempo un ambiente accogliente, sul piano anche sociale, agli insediamenti produttivi. L’alternativa sin qui praticata, quella di un reddito “a prescindere”, ha risolto nella pandemia molti problemi, ma questo governo deve avere la capacità di archiviare la pandemia, non solo nelle pratiche quotidiane gestendo bene la sorte sanitaria del Paese, ma anche nelle scelte per il futuro. Ed il Mezzogiorno è la più grande delle occasioni per il Paese.
Oramai il tempo delle visioni è passato, perché ha vinto nella scelta del governo operata da Mattarella e dai partiti una visione concreta e precisa che il presidente Draghi ha più volte illustrato e che in Europa è stata chiara e ben delineata. Ora è il tempo di attuare e di decidere, di decreti e circolari, di provvedimenti che indicono in concreto sula quotidianità. Il ministro per il Mezzogiorno avrà molto da decidere e rapidamente dovrà dimostrare rapidità e concretezza. Perché ora la parte delle strategie, dei fondi e delle disponibilità culturali pare per lo più superata in positivo; ora è il momento di liberare risorse ed energia in fretta e per bene. Altrimenti non sarà uno spreco o una occasione mancata, sarà semplicemente la fine.
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