È una gran bella sorpresa il fatto che tante scuole stiano aderendo alla proposta del DonaCibo nonostante le difficoltà e le limitazioni imposte dalla pandemia. Segno che la realtà della scuola italiana non è tutta imbalsamata nel no all’ipotesi di un qualche allungamento dell’anno scolastico, come si legge sui giornali di questi giorni. Bisogna riconoscere che DonaCibo è un’iniziativa che contribuisce positivamente alla vita delle scuole italiane che vi aderiscono. Per gli alunni, innanzitutto, ma anche per genitori, insegnanti e personale non docente.
Si chiama DonaCibo la raccolta di generi alimentari nelle scuole, promossa da una quindicina d’anni a questa parte, dalla Federazione dei Banchi di solidarietà, realtà diffuse sul territorio che offrono un aiuto alimentare e una condivisione umana agli indigenti. Ma, detto così, si è detto ancora ben poco. La proposta è di una settimana di “educazione alla carità”, la terza di Quaresima, che le scuole aderenti inseriscono nella loro programmazione formativa. Con sussidi, testimonianze, ricerche, i ragazzi vengono resi consapevoli delle situazioni di povertà, sensibilizzati rispetto ai bisogni, aiutati “a una maggior consapevolezza di ciò che abbiamo e di cui essere grati, a vivere uno sguardo costruttivo anche di fronte alle difficoltà, e anche il miglioramento delle soft skills, come la capacità di organizzarsi e lavorare in team”. Il virgolettato è preso di sana pianta dalla breve comunicazione fatta da un’insegnante dell’Istituto Gentileschi di Milano, cioè da un’emblematica esperienza già realizzata, da cui prendere esempio.
Il bello del DonaCibo è che si propone non di scippare qualche eurino o merendina ai ragazzi ma di offrire loro un’opportunità: quella di fare esperienza del fatto che donare qualcosa di sé a chi vediamo nel bisogno corrisponde a un’esigenza della nostra persona e aiuta a realizzare sé stessi e ad essere felici. Donare per chi ha bisogno fa scoprire che tutti abbiamo ugualmente bisogno di senso, di felicità e di compimento, che non possiamo neanche darci con le nostre mani, perché quello che abbiamo ci è stato dato. È la dimensione della gratuità, che – per buttarla sul piano della didattica – realizzerebbe tra l’altro la vera ora di educazione civica, cioè l’orientamento consapevole e critico a concepirsi e agire in funzione del bene comune.
Intendiamoci, stiamo parlando di un fenomeno che riguarda centinaia di scuole, quindi una minoranza. Tuttavia è un bel segno. Se l’anno scorso ha prevalso, e non poteva essere diversamente, il lockdown, quest’anno sembra prevalere, in questo ambito, il desiderio di mettere a frutto qualcosa che si è imparato dai mesi difficili vissuti, di non perdere la tensione ad affermare ciò che dà speranza.
E infatti: “Le immagini più care che vogliamo trattenere nella memoria – è sempre la testimonianza dall’Istituto Gentileschi – sono quelle degli occhi felici delle ragazze organizzatrici, quelle della preside china ad aiutarle a chiudere una scatola, quelle degli occhi stupiti di chi passava e vedeva, docenti, vicepresidi, collaboratori scolastici… Aver vissuto in modo concreto il desiderio di bene che tutti abbiamo ci permette di incontrare chiunque con uno sguardo più umano”.
La realtà, così, entra nella scuola non come semplice limitazione, ma come opportunità positiva per la crescita dell’io. Di introduzione dell’io nella realtà, che è lo scopo dell’educazione, come pure – per forza – dell’istruzione.
C’è altro da aggiungere? Solo che DonaCibo è un piccolo, piccolo esempio. Ma: uno, cento, mille DonaCibo!