Le notti di violenza a Barcellona e in altre città spagnole sono il sintomo che la cosiddetta ondata sociale del Covid è già qui? Non sembra, ma i disordini, i saccheggi e tutti i discorsi in favore della libertà di espressione che li hanno accompagnati contengono avvertimenti che è opportuno non disattendere.
Ricapitoliamo gli eventi. Il rapper Pablo Rivadulla, conosciuto con il soprannome Hasel, è stato condannato per il reato di apologia del terrorismo, nello specifico dell’ETA. Non è un artista, è piuttosto un violento attivista con altre condanne per violazione di domicilio e lesioni, ma il suo arresto ha causato quasi una settimana di disordini.
Dopo le manifestazioni contro l’arresto, gruppi radicali si sono resi protagonisti di scene di guerriglia urbana e di saccheggio. Il problema è particolarmente grave a Barcellona, anche se la violenza si è estesa ad altre città. Quello che è già diventato il caso Hasel non si sarebbe creato se non ci fossero state alcune circostanze.
Non ci sarebbe stato un caso Hasel se la Catalogna non si fosse trasformata, da qualche anno, in una miniera di gruppi radicali. Gruppi che si sono mescolati con i sostenitori più estremisti dell’indipendenza, per i quali la violenza è giustificata. Non ci sarebbe stato un caso Hasel senza la situazione di impotenza in cui si trovano i Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. Ogni volta che avvengono disordini, il governo della Generalitat, il governo autonomo catalano, mette in discussione l’operato della polizia e tende in qualche modo a giustificare i disordini. In altre città al di fuori della Catalogna, infatti, l’operato della polizia ha rapidamente contenuto le agitazioni.
Il caso Hasel non avrebbe nemmeno assunto una dimensione politica se ci non fosse stato al Governo Podemos, che, ponendosi dalla parte dei gruppi radicali e mettendo in discussione la regolamentazione della libertà di espressione, ha enfatizzato quanto successo. È il paradosso di avere nel Governo un partito contrario all’attuale sistema democratico. Podemos vuole libertà per quelli che esaltano il terrorismo e, allo stesso tempo, applaude al perseguimento di chi difende il franchismo. Il caso Hasel è, quindi, un caso strumentalizzato, ma il conflitto tra libertà di espressione e incitamento all’odio è un problema reale.
La frizione tra libertà di espressione e altri diritti fondamentali è parte della democrazia classica. Tutti i sistemi costituzionali regolano questo confine non sempre chiaro, ma da qualche anno le tensioni sono aumentate con la proliferazione di posizioni estremiste, con la diffusione di giustificazioni ideologiche del terrorismo, con l’incitamento alla violenza per motivi razziali o religiosi. La trasformazione provocata dall’utilizzo massiccio dei social network, dove è assente il filtro dei mezzi tradizionali di comunicazione, ha reso più facile per i divulgatori di messaggi contro la dignità delle persone ottenere maggior risonanza. La sfida di affrontare adeguatamente lo “hate speech”, il discorso di odio, sta crescendo, sintomo che si stanno dissolvendo certe evidenze circa il valore dell’altro che sono precedenti al diritto. Nell’Europa degli anni ’50 del secolo scorso era facile capire che certi modi di parlare o scrivere distruggono la pace e costruiscono un mondo di morti.
Le risposte giuridiche sono diverse. In Germania, dove i partiti anticostituzionali sono proibiti, c’è la pena del carcere per comportamenti che esaltano il nazismo. La Spagna negli ultimi 40 anni ha dovuto confrontarsi con partiti collegati a movimenti terroristici. Le sentenze di condanna per esaltazione del terrorismo sono state emesse nel caso di morti recenti. I tribunali spagnoli hanno proceduto distinguendo caso per caso, secondo la dottrina della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), se si era in presenza di un’incitazione diretta alla violenza. La giurisprudenza della CEDU tende a non chiedere la carcerazione per i delitti di opinione ed è ragionevole che sia così, per quanto ripugnanti possano essere le idee espresse. Ci possono comunque essere eccezioni ed è necessario trovare una soluzione equilibrata al conflitto tra diritti. La libertà di espressione è essenziale, ma la soluzione giuridica è l’ultimo rimedio e non elimina di per sé il problema.
Il punto cruciale è che la memoria degli europei si è annullata, abbiamo dimenticato il valore delle parole, abbiamo dimenticato le conseguenze dell’alimentare l’odio. Probabilmente, che siano o meno un’incitazione diretta alla violenza, tutti i discorsi di odio hanno qualcosa in comune: nichilismo jihadista, nichilismo antisemita, nichilismo che recupera le vecchie ideologie xenofobe e razziste. Semplicemente nichilismo. Il diritto non può frenare questa malattia, tutt’al più può evitare, in alcune ipotesi, le sue conseguenze più negative. Spesso, “malati di diritto”, facciamo fatica a capire che tutto inizia quando un contenitore, un sampietrino, una vetrina, la faccia di chi si siede di fianco a noi nella metropolitana, il musulmano, l’ebreo, quello di destra e quello di sinistra smettono di essere qualcosa, smettono di essere qualcuno e diventano nulla.