La pandemia da Covid-19 ha colpito la Regione Lombardia con una violenza ed intensità che ha sorpreso tutti.

Ha rivelato una fragilità del nostro Sistema sanitario regionale (così come di quello dei principali Paesi europei) oggetto di una crisi di risorse ed organizzazione presente da circa un decennio. Certamente anche questo ha contribuito a determinare il forte impatto che il virus ha avuto nella nostra Regione, anche se le cause profonde che spiegano l’effetto devastante della pandemia in Lombardia non sono del tutto note.



Il segno più evidente di una condizione di estrema difficoltà è stato il terremoto a livello dei vertici della Sanità regionale, con il cambio di direzione sia all’assessorato che alla Direzione generale welfare.

Negli ultimi 10 anni c’è stata un’evidente contrazione, in termini reali, della spesa e una mancanza di attenzione alla qualità dei servizi offerti. Sono stati inoltre ignorati i cambiamenti demografici, socio-economici, etnici, epidemiologici della popolazione, che dovrebbero essere l’unico riferimento su cui modellare il sistema delle cure.



È via via sparito dal dibattito politico ogni riferimento a criteri e concezioni, anche contrapposti, che riguardano la cura della salute e che determinano la costruzione di sistemi sanitari coerenti, efficaci, efficienti, adeguati ai cambiamenti in atto.

Si è assistito a un continuo “ping-pong” tra regione e lo Stato centrale, confuso nel suo tentativo non solo di programmare e controllare ma anche di gestire.

Si è abbandonata la valutazione della qualità ex ante ed ex post delle cure, che dovrebbe essere un criterio fondamentale nelle scelte nazionali, regionali, locali. Si è preclusa la possibilità di formare medici ed infermieri indispensabili a sostenere un sistema sanitario regionale.



Non che la politica sia sparita, anzi. Il dibattito sulla sanità è diventato un argomento di contrapposizione strumentale tra gli schieramenti: chi la governava veniva attaccato a prescindere dall’opposizione, e chi la difendeva lo faceva perché aveva i propri rappresentanti al governo.

A riguardo di tecnici e manager da affiancare ai politici si sono abbandonate scelte legate alla professionalità, promuovendo spesso incompetenti della propria parte o, nella migliore delle ipotesi, persone scelte senza verificarne a fondo i requisiti.

Tutto questo ha significato una ingiusta mortificazione della grande professionalità, della capacità e della dedizione del personale sanitario, che si è ancor più evidenziata in questo anno drammatico segnato dal Covid-19.

Solo grazie a questa professionalità e allo spirito di iniziativa personale, negli ospedali, sul territorio e in commissioni tecnico scientifiche, la sanità non è crollata e il bilancio delle vittime non è stato ancora più pesante.

La “governance” del sistema, soprattutto nel delicato rapporto tra professionisti e management va ripensato.

La medicina di comunità e con essa i medici di medicina generale, spesso relegati a funzioni “amministrativo-burocratiche” in una concezione prestazionale della sanità centrata sugli ospedali, si è rivelata insufficiente.

D’altro canto la rete ospedaliera, da anni priva di “manutenzione” ed aggiornamento tecnologico, ha evidenziato tutti i propri limiti, anche perché la richiesta di posti letto per acuti generata dal Covid-19, ne ha scoperto i limiti strutturali.

Molto è il lavoro da fare, a tutti i livelli, culturale, formativo, strutturale.

Non crediamo che sia un problema solo per esperti di economia sanitaria o di organizzazione, né una questione che riguarda esclusivamente la politica (i dieci anni passati sono lì a dimostrarlo).

Per questa ragione, pensando alla sanità del prossimo futuro, occorre ridare voce a chi opera sul campo, agli operatori, attraverso una discussione libera e non ideologica, che prima di cercare risposte metta in luce le domande e le necessità che la situazione attuale richiede.

Il dialogo con la politica deve ripartire su queste basi. I politici devono innanzitutto immergersi in questo lavoro, che è la dimensione più importante del loro compito: ascoltare e interloquire con tutti. Niente è più dannoso di risposte a problemi che non si conoscono.

Occorre definire un punto di partenza, e coagulare una riflessione sul futuro del sistema sanitario lombardo, che parta dalla esperienza fatta durante la pandemia da Covid-19, anche in prospettiva della necessità di una correzione della recente Legge 23 di riforma del sistema.

Non è un lavoro semplice, ma pensiamo che nessuno si possa chiamare fuori, vista la responsabilità che abbiamo di garantire assistenza e cura ai Pazienti che ci sono affidati.

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