Operazione San Gennaro

Le catacombe di padre Loffredo, la palestra di Gianni Maddaloni, il rilancio dei porti, “I Giorni del Sud”: tutti esempi di riscatto senza assistenzialismo

Non smettere mai di conoscere, di cercare oltre gli stereotipi, è il primo modo per affrontare i momenti difficili. E per ricostruire un tessuto sociale.

Cercando tra le strade del Rione Sanità di Napoli, additato da sempre come un luogo di degrado e povertà irreversibili, a fianco di un ospedale dismesso e abbandonato, ci si imbatte nell’opera di padre Antonio Loffredo. Uno di quei preti che non teme di scendere in campo e spendere la sua vita per la formazione e il lavoro dei giovani.

Quindici anni fa padre Antonio ha ottenuto la gestione di una cappella di origine paleocristiana, in stato di completo abbandono e degrado, adiacente all’ospedale e alle catacombe di San Gennaro.

Ha allora coinvolto i ragazzi del quartiere in un lavoro di ripristino dell’area sotto la guida di valenti archeologi. Poi ha fondato insieme con loro una cooperativa, “La Paranza”, per organizzare visite guidate. In pochi anni 160mila visitatori hanno popolato il Rione Sanità per vedere le catacombe: la cooperativa è arrivata a dare lavoro a 40 giovani. Oltre alla gestione e guida delle catacombe, vengono aperte scuole di teatro, musica, scultura, un nuovo centro sportivo.

Le catacombe sono stupende, sia dal punto di vista architettonico che pittorico, e testimoniano una pagina importante della storia della città. Da luoghi di culto paleocristiani sono diventati luoghi di culto cristiano, in cui ha operato anche Gennaro, poi divenuto santo. Infine le catacombe sono diventate luogo di sepoltura di martiri, tra i quali lo stesso San Gennaro. Con la fine delle persecuzioni non furono abbandonate, ma divennero sede della cattedrale quando, durante l’eresia iconoclasta, i bizantini si impossessarono delle chiese del centro città.

Le catacombe tornano a essere luoghi di rifugio durante le epidemie di peste del ‘600 e di nuovo durante la Seconda guerra mondiale.

La bellezza dei luoghi e la loro storia straordinaria rivivono attraverso la passione e la preparazione dei ragazzi della cooperativa che fanno da guida e curano i luoghi. Per loro non è solo un lavoro, ma una missione. La cooperativa, infatti, è come un trampolino di lancio per la vita futura.

La loro singolare avventura viene raccontata da un bellissimo docufilm “Rione Sanità. La certezza dei sogni”, di Conchita Sannino, giornalista di Repubblica (con la regia di Massimo Ferrari). Molti di questi ragazzi sono usciti dal degrado del Rione Sanità: hanno studiato, alcuni si sono laureati, molti si sono avviati verso una vita professionale. Un importante contributo è venuto da tanti imprenditori locali e dalla Fondazione con il Sud, presieduta da Carlo Borgomeo.

L’esempio è poi diventato contagioso in tutto il Rione Sanità, anche per chi non è direttamente coinvolto nella cooperativa.

In che modo la “rondine” di padre Loffredo può diventare primavera? A tre condizioni. La prima è di tipo personale e ideale: bisogna credere che esiste un’alternativa al degrado e alla povertà. Credere nella dignità di sé stessi, nel rispetto per gli altri, nel lavoro che contribuisce al riscatto umano, sociale ed economico.

La seconda condizione è un cambiamento di chi amministra le pubbliche finanze: occorre smetterla di spendere soldi a pioggia, vanno piuttosto destinati a chi ha già dimostrato di operare in modo virtuoso.

Come accade, per esempio, a sette chilometri dal Rione Sanità, al centro di Scampia, dove Gianni Maddaloni dirige una piccola palestra di judo. Maddaloni, un nome reso celebre dal figlio “Pino”, vincitore di una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sydney del 2000 e di numerosi titoli internazionali. Da quell’esperienza, a Scampia, in una caserma dismessa, sta nascendo la Cittadella dello Sport. “Un luogo dove chiunque voglia fare sport e non può permettersi di pagare, lo possa fare”, come dice lo stesso Gianni Maddaloni.

La terza condizione è riprendere la via dei grandi interventi strutturali. Anche qui non mancano gli esempi. Come il progetto di rilancio dei porti del Sud al quale si dedica Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria con delega al Sud, affiancato dagli otto presidenti regionali di Confindustria.

Un progetto che è stato di recente inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Un altro caso è “I Giorni del Sud”, sviluppato dalla Confindustria di Napoli e di Caserta e dalla Fondazione per la Sussidiarietà: un progetto per promuovere un interscambio continuo tra gli imprenditori del Mezzogiorno e quelli dei paesi rivieraschi del Mediterraneo.

Una nuova visione strategica, insomma, il contrario dell’assistenzialismo che ha dominato le politiche per il Mezzogiorno dei governi di questi ultimi anni. Interventi strutturali e di lungo periodo, come fu a suo tempo l’Autostrada del Sole negli anni ‘50 e più di recente le linee ad alta velocità.

Un’economia per l’uomo richiede “qualcosa di più dello spirito d’impresa: richiede amore per la vita, per la comunità e per i fratelli”, come dice padre Loffredo, che esprimeva per la sua città l’auspicio di veder nascere “tante imprese di uomini liberi, dove l’obiettivo fondante sia quello di crescere per generare lavoro e non maggiori utili. Lo auguro alla mia città, soprattutto: nel rispetto e nel ricordo dei princìpi fondanti dell’economia di comunione, tanto cari all’illuminismo napoletano, che all’homo homini lupus contrappone un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: homo homini amicus”.

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