La capacità di far accadere le cose è un dono del tutto casuale che la vita offre ai più diversi tra gli uomini. Una percentuale molto ristretta di persone, in stato più o meno di grazia, è in grado di smuovere ciò che sembra graniticamente ancorato allo status quo. Spesso la chiave per far avviare i motori e mandare avanti le cose è in bella mostra e aspetta solo chi sappia farla girare, solo che la maggior patte delle persone resta a guardarla temendo gli effetti che una partenza, un cambiamento possa avere. Poi c’è chi le cose le fa e che punta sul cambiamento e sul percorso da fare lasciandosi alle spalle i timori.
In questo tempo difficile, spesso sedentario, la tentazione di stare a guardare e di osservare ogni problema dalle infinite prospettive prima di agire, è tentazione ampia e diffusa anche sul tema del Mezzogiorno. In settimana si è conclusa la sessione di ascolto voluta dalla ministra Carfagna che ha ascoltato relazioni, tavoli tematici e tanti studiosi che, chiamati al capezzale del Sud, hanno dato le loro ricette. Diverse, conosciute e spesso più volte reiterate analisi si sono succedute mettendo in evidenza quanto già noto. Nulla di nuovo sul fronte occidentale. Più infrastrutture, più risorse per le politiche sociali, più velocità nell’attuazione degli interventi programmati.
Draghi ha nel suo breve saluto ricordato che accanto ai divari, innegabili, ci sono dei dati ancor peggiori. Dal 2014 al 2020 su 47 miliardi di fondi per la coesione ne sono stati spesi 3 ed ha rammentato che accanto a questi fondi ci sono almeno altri 90 miliardi di risorse aggiuntive del Pnrr. Da uomo concreto ha fatto comprendere che ogni suggerimento è ben accetto, ma che ora è il tempo di spendere e di chiudere cantieri dando per scontato che il periodo ante-pandemia ha segnato il maggior divario, nel dopoguerra, per risorse investite, tra Mezzogiorno e Nord.
Quindi? Cosa si può aspettare il Mezzogiorno? Tra le righe pare evidente che il modello di spesa salterà le amministrazioni locali e che si andrà verso un “modello Morandi” lievemente corretto con l’accentramento di procedure per tutte le opere rilevanti che saranno, di fatto, gestite da un sistema di spesa autonomo rispetto alle procedure ordinarie. Questa sarà la sorte delle grandi opere, che non contemplerà il Ponte sullo Stretto, ma la Napoli-Bari in Tav e numerosi interventi su assi viari, ferroviari e porti. Le rimanenti risorse verranno affidate su progetti specifici e dovranno essere spese in tempi certi privilegiando il rafforzamento della rete sanitaria diffusa nelle aree interne, il supporto alla ricerca tramite centri di eccellenza e un generale ammodernamento delle strutture sanitarie.
Riuscire ad avviare e mettere in sicurezza questi progetti è quello che il governo Draghi ha come priorità, poiché va dato un segnale inequivocabile che si è passati dalle parole ai fatti, visto che le percentuali di mancata spesa dei fondi dicono con grande chiarezza che chiunque abbia governato prima è stato incapace di portare a compimento progetti su cui si è discusso tanto. Draghi deve dimostrare che l’Italia è in grado di saper gestire il delivery, l’esecuzione, non tanto la fase ideativa dei progetti. E questo, se accadrà, sarà l’unico vero fatto rilevante di cui discuteranno negli anni a venire i futuri stati generali.
Draghi ha ben chiaro che non potrà risolvere tutto e che alcuni temi, come la definizione dei Lep, ovvero dei livelli di assistenza minimi validi per tutto il territorio nazionale, che comportano una profonda revisione della spesa pubblica ed un riequilibrio finanziario importante, sono temi ampiamente politici e divisivi che potrà, se avrà occasione, affrontare. Ma nella sua visione dare attuazione e far accadere le cose, aprendo cantieri e avviando una strutturale riforma dei metodi di spesa è la vera priorità su cui può incidere e lasciare un segno positivo.
Se accanto ai cantieri riuscirà a dotare il Mezzogiorno di maggiori risorse umane, con piani di assunzione mirata, dando supporto alle iniziative private di investimento nel Mezzogiorno (tramite le Zes, gli incentivi e le norme di agevolazione alle assunzioni) avrà fatto accadere in pochi mesi molto di più di ciò che si è studiato per tanti anni.
Le sue intenzioni appaiono chiare come il suo appello alle classi dirigenti del Mezzogiorno convocate alla due giorni della Carfagna. “Io ci sto mettendo la faccia sulle cose da fare, voi dovete metterci il vostro impegno” sembra dire, “perché il mio lavoro vi sia utile e sappiate sfruttarlo per avviare una stagione nuova di crescita”.
Come quando era alla Bce, indica la strada ed avvia il percorso; quelli bravi sapranno approfittarne per far accadere le cose che il Mezzogiorno attende da troppo tempo, perdendosi tra un webinar e l’altro. Ma stavolta qualcosa sembra che qualcosa accadrà.
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