Una settimana è il tempo che un mercantile guadagna utilizzando il Canale di Suez nella traversata dall’Asia all’Europa senza dover scendere fino al Capo di Buona Speranza. Una portacontainer paga 270.000 euro per attraversare i 193 chilometri che collegano il Mar Mediterraneo con il Mar Rosso. A meno che il petrolio sia molto a buon mercato è conveniente pagare il pedaggio, perché il modello di produzione industriale e di consumo derivante dalla globalizzazione si basa su una riduzione dello spazio che accorcia il tempo.
L’incidente dell’Ever Given, una delle navi più grandi del mondo in grado di trasportare 20.000 container, ci ha aiutato a capire la relazione tra spazio e tempo nell’era della globalizzazione. Il blocco del Canale di Suez e del traffico marittimo, che sta provocando la perdita di 9,6 miliardi di euro al giorno, ci ha fatto accorgere di come funziona la catena delle forniture mondiali. A un anno dall’arrivo in Occidente del Covid, ci rendiamo conto che Amazon non era un procacciatore magico di tutti quei prodotti che ci arrivavano due giorni dopo aver cliccato sulla pagina di acquisto. Perché potessimo utilizzare mascherine che non avevamo e perché gli ospedali fossero provvisti di respiratori e di materiale medico, tutti questi beni dovevano essere prodotti. E non si fabbricavano in un furgone per le consegne, in molti casi venivano da fabbriche molto lontane.
Il container è, in un certo senso, il simbolo del commercio mondiale. E anche del modello di produzione industriale just in time che ha ridotto considerevolmente i costi di stoccaggio dei componenti in settori come quello delle automobili, della vendita al dettaglio o dei beni farmaceutici. I pezzi di ogni prodotto arrivano alla fabbrica da qualsiasi angolo del pianeta proprio nel momento in cui servono. Per questo motivo, negli ultimi cinquant’anni, la capacità di trasporto dei container è aumentata del 1.500%. Il sistema regge se i canali di trasporto funzionano alla perfezione e se il consumo segue schemi di comportamento più o meno costanti. Durante l’isolamento da Covid, per esempio, gli statunitensi volevano comprare molte più stampanti, computer o giochi, dato che avevano trasformato le loro case in uffici o asili, e ciò ha causato una grande pressione sui porti della Cina, Paese dove vengono fabbricati questi articoli. Consumiamo prodotti globali, trasportati da navi come la Ever Given, proprietà di una compagnia giapponese, gestita da una società di Taiwan, che naviga sotto bandiera panamense con equipaggio indiano.
C’è chi ha voluto vedere nell’incidente dell’Ever Given un nuovo monito su una globalizzazione poco rispettosa dell’ampiezza del Canale di Suez, cioè dei limiti imposti dalla realtà. È evidente che se tiriamo fuori i pipistrelli dal loro habitat naturale e se invadiamo lo spazio della vita selvaggia, questo può avere conseguenze non desiderate. Se per massimizzare i profitti costruiamo navi troppo grandi, queste possono trovarsi prima o poi incagliate.
L’Ever Given, però, bloccando una delle arterie del mondo al punto di provocare un infarto, è forse piuttosto un avvertimento morale contro l’avidità. Il mercantile incagliato ci ricorda che accorciare lo spazio cambia il modo di intendere il tempo. Non c’è più una supremazia del tempo sullo spazio, i componenti di un prodotto non devono essere fabbricati in anticipo, non c’è più da aspettare nulla o quasi nulla. Nello stesso modo in cui siamo riusciti a ridurre le miglia marittime siamo riusciti a ridurre i minuti. La mentalità imperante nel mondo della produzione e della distribuzione si è trasferita al consumo. Da qui il successo delle società di consegna rapida. Quando il fattorino di Deliveroo suona il campanello di casa nostra per consegnarci, in cambio di un misero compenso, il pasto che abbiamo ordinato dieci minuti prima, rende possibile il servizio per il quale siamo disposti a pagare di più: accorciare il tempo. Il tempo necessario per comprare, per cucinare.
Gli spazi possono ridursi, il tempo può farsi più breve, sebbene da un anno sappiamo che questa riduzione ha dei limiti e genera delle fragilità. Soprattutto in un mondo dove il nazionalismo risorge. Però sarebbe sbagliato pensare che il metodo che utilizziamo per la produzione e la distribuzione possa servire in ciò che è propriamente più umano. Nelle relazioni personali, nella costruzione sociale, nella maturazione dell’io, il tempo è sempre superiore allo spazio. Non vi è modo per accorciare le distanze quando si tratta di acquisire una certezza, di conoscere bene, di recuperare fiducia, di esplorare una possibile speranza.