Poche settimane di governo Draghi sono riuscite a riaccendere le competizioni interne ai partiti della ex maggioranza, che si avviano ad un processo di scomposizione e successiva riaggregazione. A tenerli uniti era stato il collante del Governo, inteso come posizioni di potere, ed ora che i posti si sono ridotti, emergono orizzonti diversi e spesso antitetici tra chi è stato eletto sotto lo stesso simbolo. Cosa è accaduto è di semplice comprensione: i partiti sono ormai gusci vuoti animati da singole personalità che aggregano più sugli interessi individuali che sui contenuti. Per cui è più importante chi va a ricoprire un ruolo piuttosto di che cosa una personalità sia in grado di esprimere con il governo a cui è chiamato.

Se questa era l’utilità di alcuni partiti, garantire poltrone, allora questa scomposizione è estremamente favorevole soprattutto per il Mezzogiorno, poiché rende finalmente possibile affrontare il tema dello sviluppo del Paese uscendo dalle posizioni in cui una parte del ceto politico si era rinchiusa, rivendicando per sé alcune deleghe più per genia che per reale capacità.

La realtà che abbiamo di fronte ora è fortunatamente diversa. Come bene ha spiegato più volte Draghi la consistenza stessa dei fondi disponibili per il Recovery Plan è condizionata dalle maggiori risorse per superare i gap infrastrutturali nel Paese e la costruzione del piano dovrà dimostrare che i fondi da spendere siano funzionali a raggiungere questo obiettivo. Quindi, maggiori investimenti al Sud non saranno frutto di un abile machiavellismo da rivendicare nei talk show, ma di una scelta ampia e strategica del Governo tutto.

Per troppo tempo gli epigoni del meridionalismo hanno cercato posti in prima fila, spesso senza avere una idea o una visione propria nitida, ma col solo obiettivo di rivendicare qualche piccolo risultato in chiave elettorale. I risultati sono sempre stati scarsi perché non supportati, come nello scorso Governo, dalla necessaria unità di visione. Nessuna decisone definitiva è stata assunta sui temi strategici delle infrastrutture o dell’uso dei fondi per avviare progetti importanti. Andavano nominati i commissari le per tante opere rimaste al paolo e per le tante iniziative da far partire, come le Zes, ed i litigi interni o la banale inedia hanno fatto sì che neppure uno ne venisse individuato. Si poteva avviare un risanamento degli enti Locali ed una stagione di efficace rimodulazione della spesa, partendo dai livelli minimi assistenziali, e nulla si è visto. Si poteva incidere con una normativa più aggressiva di incentivo per aziende che investono nel Mezzogiorno ed invece sono state riciclate vecchie misure rifinanziate anche solo parzialmente. Il tutto venduto come un grande risultato ottenuto “nonostante” l’opposizione di qualcun altro.

Draghi ed il suo governo non hanno questo limite, non devono dimostrare altra fedeltà se non al Paese e devono seguire le indicazioni che la Commissione europea ha dato per spendere i fondi che riceveremo. L’Europa ha visto nel Mezzogiorno del Paese le disparità maggiori e le maggiori potenzialità di crescita e per questo ha deciso che l’Italia se ne deve occupare. E questa è la più grande delle vittorie, che chi crede nel Mezzogiorno e nelle sue potenzialità, anche senza esservi nato, pone grande fiducia nella capacità che avrà il Paese di reagire e di offrire soluzioni ad una crisi senza precedenti.

Questa fase politica ha quindi finalmente aperto una riflessione profonda su ciò di cui il Paese ha bisogno e su come raggiungerlo, e le forze politiche, nel mentre Draghi attua le linee guida europee, possono, scomponendosi, ritrovare le ragioni del loro esistere. Il Mezzogiorno dovrà meritare anche esso le attenzioni che ricevuto e potrà farlo solo se esprimerà una classe politica che non si arrocchi sul meridionalismo intellettuale, ma faccia per bene il proprio lavoro preparandosi alle sfide dei prossimi anni.

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