Per innamorarsi ci vuole coraggio, ma per tornare indietro e riparare quello che si è rotto ce ne vuole molto di più: “Fa niente, fatti forza – confida Cristo al suo cuore –. Questo era il rischio d’andarsene, lo sapevo: quando ritorni, magari scopri che si sono abituati alla tua assenza. Fa niente, ripeto: ricomincerò anche stavolta io, come quella mattina a Genesaret (Alziamoci, andiamo!)”.
Dentro la clausura del cenacolo erano andati a nascondersi i vecchi spavaldi d’un tempo: col vento a favore pareva che spaccassero il mondo, ma quando il vento infuriò contrario filarono via in velocità. L’ultima volta li han adocchiati alle pendici del Monte Golgota: poi han fatto perdere le tracce tutti, tranne Giovanni. I pescatori sanno remare contro al vento, ma adesso sono le paure a (t)remare loro contro: “Saremo anche pusillanimi a nasconderci – borbottano tra di loro – ma provasse la gente a vivere quello che abbiamo vissuto noi, con quell’intensità: poi vedete se era facile ripartire senza di Lui”. Date torto, se siete capaci: la delusione, e la paura, sono proporzionali all’amore amato. Paura, tanta paura, paura gaglioffa di fare la stessa fine: “Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei“.
Nessuna paura, comunque, della paura: non riuscirai mai a metterla a dormire, lei rimarrà sempre sveglia. “Basta! Chiudiamo tutto, non voglio più sentire gente che ci insegna cosa dobbiamo fare, che cosa non avremmo dovuto fare. Tutti bravi, adesso: ma noi abbiamo dovuto reagire in diretta a quello Sguardo”. Sono esauriti, atterriti, sgomenti: far entrare qualcuno nelle proprie paure, in attimi così, è più intimo che andarci a letto a fare l’amore.
Lui non bussa, ma nemmeno si deprime: “Li conosco – ragiona tra Sé nel mentre cammina a passi di velluto verso il Cenacolo –: non bisogna avere fretta, le persone migliori si raccontano una paura alla volta, a poco a poco. Son amici miei: li riconquisterò, ci vuole calma coi cuori feriti”. Arrivato, entra subito, come un coinquilino che ha le chiavi: “Pace a voi!“. L’invito più bello, la pace, per poi ritornare in guerra, a far la guerra alla paura: troppi di noi non vivono i loro sogni perché stanno vivendo le loro paure: “Ma ricordati sempre – scrisse quel genio di Cesare Pavese – che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t’incutono”. Paura del Cristo? “Mostrò loro le mani e il fianco“. Per convincerli, ancora una volta, si mostra loro gracile, ferito, ricucito. Uguale a loro: a volte per far combaciare due persone bisogna prima rompersi in migliaia di pezzi. Rotti sono i discepoli, rotto è il (loro) Maestro: “Non temete, mica vi rimbrotto: non vi chiedo dov’eravate i giorni scorsi, cos’avete fatto, perché siete fuggiti. Vi chiedo solo d’innamorarvi di queste ferite. Un giorno racconterete che han fatto di voi quello che diventerete!”. Tutti zitti, imbambolati, più distesi: “Cosa ti avevo detto, Pietro – bisbiglia all’orecchio Maria al capociurma –: vedi, ci sono delle ferite che sanno essere delle feritoie se hai il coraggio di guardarci dentro”. Ci sono ferite, quelle dei discepoli, che hanno bisogno di altre ferite, quelle del Risorto, per poi cicatrizzarsi: riderà delle cicatrici solamente chi non ha mai avuto una ferita.
Alcune ferite, poi, riusciranno a diventare cicatrici: “(Tommaso), abbiamo visto il Signore!“. Le accarezzi, le racconti con complicità come fossero vecchie compagne di vita: loro lo san bene, perché “tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo” (I. Calvino). Sulla strada della paura, Cristo è il primo dei viandanti, rende al mondo il favore del Calvario facendosi Cireneo Lui dell’uomo: “(Tommaso), metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!“. Tommaso, fede disorientata, non fa nulla di ciò che gli vien offerto. Gli basta quella Sua fragilità risorta per capire ch’è Lui: “Mio Signore e mio Dio!“(cfr Gv 20,19-31). Satàn, da fuori, si lecca le ferite: dentro, attorno al tavolo, il Risorto aiuta gli amici a lucidare le loro ferite.
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