Un altro video scuote l’America: un poliziotto che insegue un tredicenne, gli intima di fermarsi e lui – dopo un goffo tentativo di fuga – si arrende e alza le mani. Proprio in quel momento, vedendo un revolver che nel video sembra non esserci, il poliziotto spara e uccide il ragazzo. Siamo a Chicago, non c’è razzismo questa volta, non ci sono riprese abusive ma direttamente quelle dell’uniforme del poliziotto, che riprendono tutto in tempo reale e che la polizia non censura, ma anzi diffonde quasi a volersi discolpare.
Eppure quelle immagini parlano chiaro: non raccontano solo un pezzo di società che dai nostri salotti borghesi europei fatichiamo a descrivere, ma sono l’eco di qualcosa di più profondo che riguarda ognuno di noi, ossia la nostra capacità di scegliere che cosa fare di ciò che percepiamo e sentiamo. I primi decenni del nuovo secolo hanno imposto in Occidente una dinamica completamente nuova che non prevede soluzione di continuità tra ciò che percepiamo e ciò che conseguentemente facciamo: l’impulso ha sostituito il pensiero, la paura è subentrata alla riflessione, l’emotività ha preso il posto del silenzio. Se vediamo una pistola spariamo, se sentiamo un brivido tradiamo, se ci viene una qualsiasi voglia agiamo, se avvertiamo un termine che non ci piace ci indigniamo. Guia Soncini, giornalista di Repubblica, ci ha scritto su un libro: L’era della suscettibilità, indicando in quell’inquietante piccolo processo psicologico l’alternativa al ragionamento, al necessario bisogno che abbiamo di ponderare e discernere prima di agire.
La pandemia ha provato a imporci tempi nuovi nei nostri processi decisionali, ma ad un mondo che tutto brucia e consuma ciò è apparso come un’estenuante violenza, al punto che dietro a quel “voler tornare come prima” c’è anzitutto la richiesta di voler tornare alla velocità di prima, quando non c’era bisogno di tutto questo rimuginare per decidere e per agire.
In realtà è proprio nell’intervallo che siamo capaci di mettere tra ciò che ci spinge e ciò che scegliamo di fare che si costruisce e si forma l’ossatura di tutta la nostra personalità. Il poliziotto di Chicago non ha probabilmente attenuanti per il comportamento che ha tenuto, ma è indubbiamente un figlio del suo tempo, di un’umanità diventata incapace di attendere e di lasciarsi sorprendere. E proprio per questo sempre più meschina e capace di ferire. E di uccidere.
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