A breve il Governo licenzierà il testo definitivo degli interventi per rilanciare l’economia post-pandemia. I soldi impegnati andranno distribuiti seguendo le linee guida note da tempo e che Draghi dovrà rendere concrete con la sua squadra. È questo, assieme al rilancio del piano vaccinale, il compito per cui è stato chiamato e non avrà una seconda possibilità.

I testi, con procedure e tempi, andranno a Bruxelles per la valutazione e dovranno soddisfare le attese del Paese. Al Mezzogiorno, ha annunciato la Carfagna nel question time al Senato, andrà il 40% delle risorse, meno di quel che si poteva attendere, tenuto conto che ancora non è chiaro come e se questi fondi nuovi andranno ad aggiungersi a quelli nazionali. Non è solo il tema di quante risorse sono disponibili, però, che andrà valutato.

Almeno per le grandi opere pare ci sia un impulso importante, avendo il Governo sbloccato molti cantieri con la nomina dei 59 commissari che avranno poteri in deroga e potranno agire al di fuori del normale contesto normativo per completare le opere. Nomine bloccate da ottobre. In metodo è quello invocato da tempo, il modello Genova, e si spera che i tempi siano davvero in linea con le aspettative.

Molta parte delle nuove risorse, però, andranno gestite con le risorse umane e le procedure in essere. Sul primo punto si annunciano assunzioni nella Pa per svecchiare e modernizzare il personale; sul secondo tema, quello delle regole, ancora non è chiaro quale sia sia la soluzione, se andare in deroga al codice degli appalti o modificarlo per l’ennesima volta in pochi anni.

La soluzione non sembra facile ed è forse la sfida più difficile. Come spesso accade, la percezione che il legislatore ha del Paese è fuorviata dalla divisione tra efficientisti della decisione e paladini della legalità. Entrambi sono ben rappresentati e spesso le norme soffrono di sindromi schizzodi, chiedendo alle imprese di autocertificare ogni cosa, in caso di partecipazione alle gare, per poi  chiedere giustificazioni alle autocertificazioni, pur disponendo spesso la Pa dei dati che si chiedono all’impresa. Il tutto aggravato da contenziosi amministrativi, inibitorie o mancate verifiche, per cui ogni procedura è una corsa ad ostacoli senza fine. Nel Mezzogiorno tutto questo rende i tempi di aggiudicazione ancor più lunghi, anche per le doverose verifiche antimafia. Una soluzione dovrà tenere conto di entrambe le necessità, la tutela delle garanzie sugli appaltatori e la velocità di spesa, ma, vista la necessità di garantire un rapido ingresso delle risorse nel mercato, la soluzione più utile appare sicuramente una corsia preferenziale per i progetti più rilevanti, senza scardinare il sistema delle aggiudicazioni, immaginando un sistema di supplenza nel caso le amministrazioni non riescano a procedere.

Non è raro che le norme nazionali non trovino piena applicazione in alcune aree del Paese e spesso è proprio il Mezzogiorno a farne le spese. Il caso più eclatante è quello del bonus del 110% previsto per le ristrutturazioni edilizie per efficientamento energetico e per gli interventi antisismici. Questi bonus hanno avuto una gestazione lunga, bloccati dalla necessità di trovare un sistema di sblocco delle linee finanziarie a favore delle imprese. In sostanza si cede un credito fiscale che diventa liquidità per le imprese appaltatrici. Idea ottima, sennonché uno dei presupposti è che gli immobili siano in regola con tutte le normative urbanistiche. E che gli interventi siano certificabili, partendo da una conoscenza della situazione energetica e strutturale degli stabili.

Nel Mezzogiorno il patrimonio edilizio è spesso privo di queste caratteristiche. La sviluppo dell’edilizia è avvenuto a metà tra lo stato di necessità e la colpevole assenza di strumenti di panificazione chiari, il che ha creato un meccanismo che si basa spesso sulla possibilità sanatoria successiva degli immobili piuttosto che sulla preliminare licenza a costruire. Spesso gli interventi susseguitesi negli anni hanno storie pluridecennali, la documentazione è bloccata in faldoni accatastati senza che via possibilità di accedervi, come a Napoli, dove l’archivio del catasto è ospitato in un sito inagibile. A ciò si aggiunga che la digitalizzazione è spesso solo una parola vuota e che le amministrazioni, a corto di personale, non possono dare il supporto necessario.

Effetto di tutto ciò è che secondo delle stime credibili, accennate dalla stessa Carfagna, solo il 9% dei fondi del bonus 110% potrà potenzialmente essere speso nel Mezzogiorno. Non perché non via sia capacità fiscale, ma perché le norme, nella loro draconiana separazione tra ciò che si può e ciò che non si può fare, hanno messo sul binario della non fattibilità tutti gli interventi legati al quel tipo di bonus, poiché la legge non ha tenuto conto delle reali condizioni, e quindi delle reali esigenze, del Mezzogiorno.

Il tutto anche se la vetustà del patrimonio edilizio è concentrata proprio in quelle aree e anche se proprio nel Mezzogiorno sarebbe utile riavviare l’edilizia. Si comprende come questa misura sia, in realtà, un regalo a chi risiede fuori dal Mezzogiorno; potrà sfruttare il 91% dei fondi e i benefici non potranno mai arrivare a piccole imprese e piccoli proprietari del Sud che, pur volendo, non vi avranno accesso.

Quest’asimmetria è figlia dell’incapacità di offrire soluzioni efficaci perché  non si affrontano davvero i problemi. Ed è evidente che senza un’operazione di semplificazione delle norme che prenda atto di ciò che è, e non di ciò che dovrebbe essere, senza la concretezza necessaria per far funzionare le politiche di spesa, anche le risorse stanziate per il Recovery Plan resteranno un numerino pieno di rimpianti. È per evitarlo che il Governo ha avuto un mandato così ampio. Ora attendiamo correttivi e norme che sappiano risolvere i problemi veri.

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