Una croce dipinta che però noi vediamo solo dal retro: è la celebre, ardita scelta che Giotto propone in una delle storie di Francesco ad Assisi. È la scena del “Presepe di Greccio”, ambientata in una chiesa dove la navata è separata dal presbiterio da un lungo tramezzo. La croce è posta proprio su questo tramezzo, e rivolta verso i fedeli. La vediamo perciò da dietro, dove si svolge il cuore dell’episodio, con il disegno preciso della carpenteria, con le assicelle di legno che tengono compatta la struttura. È già questo un piccolo capolavoro per la bellezza di quelle linee, così equilibrate e precise, come se fossero tracciate da Mondrian o da un architetto del Bauhaus. Giotto anche in questi dettagli è sempre di una chiarezza cristallina e di un realismo senza esitazioni. A proposito di realismo, la struttura della croce corrisponde con molto precisione a quella, sempre di Giotto, custodita a Firenze in Santa Maria Novella: è facile constatarlo perché quella croce dipinta è appesa in mezzo alla navata.
Ma torniamo alla croce di spalle del Presepe di Greccio. La vediamo stagliarsi contro la volta azzurra della chiesa, che doveva essere di un blu ben più intenso di quel che vediamo oggi. È anche in posizione inclinata, e Giotto ci mostra dettagliatamente il dispositivo che la sorregge. Non è l’unico caso, perché anche in un’altra scena del ciclo di Assisi, quella dell’“Accertamento delle Stimmate”, Giotto mostra una croce dipinta, appoggiata su una trave, inclinata verso gli astanti. Questo movimento della croce che viene incontro ai fedeli è qualcosa che, a pensarci bene, colpisce. La croce si piega verso di noi, in una dinamica che è di donazione, e forse anche di protezione: dall’altra parte, quella dipinta che non vediamo, infatti c’è Gesù che ci si avvicina, che vuole dimostrare che la sua sofferenza è amore per noi.
La croce da dietro evidenzia anche un altro aspetto. Ne percepiamo meglio la larghezza: la larghezza di quei due bracci trasversali di legno. È un aspetto che anche sant’Agostino aveva rimarcato nel suo discorso sulla lettera agli Efesini, dove aveva parlato delle quattro dimensioni della croce, specificando in particolare che “la larghezza è l’amore, l’unico che opera il bene”. È una sottolineatura che rafforza quella sensazione già evidenziata dal movimento dell’inclinarsi in avanti, dal piegarsi verso di noi. La croce come portato d’amore.
Mostrandoci la croce dal dietro Giotto ci mette dunque di fronte a quello che a tutti gli effetti ci appare come un abbraccio. La croce, con la sua larghezza, ci abbraccia. Abbraccia il nostro destino. Così, con una sola immagine, sintetica, audace, semplice Giotto ci sa dire tutto questo. Ce lo dice con un’evidenza che attraversa il tempo e tocca a 700 anni di distanza anche questa nostra Pasqua. C’è di che essergli davvero grati…
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