Una famiglia come tante: marito impiegato, moglie assistente sociale, tre figli piccoli, casa nell’hinterland milanese. L’esasperazione, data dalla pandemia e dal continuo “stop and go” di apertura e chiusura di scuole e asili, è palpabile. Insieme con altre famiglie i genitori aderiscono a una singolare protesta: non faranno collegare i ragazzi con la didattica a distanza. Avvertono i figli e chiedono loro cosa ne pensano.

La bambina di 7 anni li guarda stupita e risponde: “Certo che preferisco tornare in aula, ma se oggi non mi collego perdo un giorno di scuola!”.

Come si fa a privarsi di una cosa per lei bella, desiderata

Se si generalizzasse questo comportamento – si potrebbe obiettare – verrebbe negato il valore di ogni protesta che nei fatti, nella storia ha invece prodotto un risultato positivo. Si priverebbe di significato ogni contributo al cambiamento che viene dal basso.

Qualche giorno dopo, alla stessa famiglia viene comunicato che proprio la scuola frequentata dalla loro bambina ha problemi di connessione Internet. Per questo la Dad deve essere sospesa.

Padre e madre si attivano. Telefonano ad altri genitori, alle maestre e infine alla preside. Vengono coinvolti tecnici ed esperti loro amici. L’intervento “sussidiario” delle famiglie permette alla scuola di risolvere il guasto e riattivare la Dad.

“Nostra figlia ha acceso una scintilla sul ‘giusto-subito’. Forse anche per questo abbiamo capito di avere una responsabilità che va oltre i bisogni di nostra figlia”, raccontano i due genitori.

È il primo passo verso una società migliore, frutto dell’impegno e dell’iniziativa. Il contrario di ciò che, purtroppo, fanno in molti. Pensando che tutto sia dovuto. Restando in attesa che qualcuno risolva i problemi. Pronti però a lamentarsi se qualcosa non funziona o manca.

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