Il progresso non è lineare e qualunque previsione rimane alla mercé degli imprevisti: è quanto dovremmo aver imparato dopo più di un anno di pandemia. Tuttavia è impossibile non cercare segni per cercare di capire come sarà il futuro e trovare nel presente motivi di speranza. E sembra che ce ne siano, almeno sul fronte sanitario.



Pur con tutte le cautele, pare che si sia già nel tempo della pazienza. Abbiamo già la soluzione, anche se non ancora diffusa: abbiamo ottenuto a tempo di record vaccini di cui sono già stati prodotti 500 milioni di dosi. Sono però poche per una popolazione mondiale di quasi otto miliardi di persone e finché tutti non saranno vaccinate non ci sarà sicurezza, qualunque cosa facciano i promotori del nazionalismo dell’immunizzazione. 



Il progresso non è però lineare, ma esponenziale, e ci sono diverse previsioni che coincidono, come quelle della Duke University negli Stati Uniti e il Covid-19 Vaccine Market Dashboard dell’Unicef. Per la fine dell’anno, con i 16 vaccini già approvati o in via di approvazione, potrebbero essere stati prodotte quasi 12 miliardi di dosi, sufficienti per raggiungere l’immunità di gregge, in base a ciò che sappiamo al momento. Per ora, i vaccini servono contro le differenti varianti, salvo l’AstraZeneca che non protegge da quella sudafricana. Altra cosa è come ottenere una distribuzione tale da arrivare ai Paesi più poveri e alle zone più remote.



Lo sviluppo di nuove varianti è proporzionale all’aumento dei contagiati ed è possibile che si debbano apportare modifiche ai vaccini per fronteggiare i mutamenti del virus. Ha ragione chi parla di una corsa tra il patogeno e il rimedio. Sarebbe tutto molto più facile se in questo tempo di attesa si prendessero misure come quelle annunciate da Angela Merkel in Germania per Pasqua, prima che fosse obbligata a correggersi per motivi politici. La variante inglese (B.1.1.7) è molto più contagiosa e, secondo alcuni, più letale. La strategia dell’impazienza, adottata per esempio in Spagna dal Governo Sánchez e dalla Comunità di Madrid, basata su una convivenza con il virus senza adottare misure energiche in attesa dell’immunizzazione di gregge, può far sì che la quarta ondata sia grave come le precedenti. Nella prima ondata i Governi potevano invocare l’ignoranza, ma non per la seconda e la terza. Questo dovrebbe essere il momento delle leadership, di politici capaci di dire all’opinione pubblica ciò che non le piace sentirsi dire: la soluzione è a portata di mano, ma si deve ancora aspettare e continuare a fare grandi sacrifici.

Se non ci saranno imprevisti nei prossimi cinque o sei mesi, la crisi sanitaria passerà in secondo piano e verranno in primo piano la crisi economica, psicologica e di senso (non bisogna confondere i problemi di una psiche provata o ammalata con le ragioni per vivere il dolore).

In linea di principio, i tremila miliardi di dollari del piano Biden e la rapidità delle vaccinazioni negli Stati Uniti possono essere sufficienti a far uscire dalla crisi quella che è ancora la prima economia nel mondo e a farne una locomotiva per le altre. La Cina è già in un fase di recupero e il rischio è che guadagni influenza in aree del pianeta come l’America Latina. L’America di lingua spagnola è sulla strada verso un altro decennio perduto e il salvagente lanciato da Pechino è troppo allettante. In Europa, questa primavera entriamo in una fase decisiva per sapere se il Next Generation Eu e i suoi 700 miliardi rappresentano il passo da gigante di cui ha bisogno l’Unione. Spagna e Italia, i due grandi beneficiari degli aiuti, si giocano il loro futuro: se il Fondo non parte presto e ci sono ritardi, la ripresa dei Paesi del Sud sarà seriamente compromessa. Per il momento a Bruxelles sono arrivati pochi piani nazionali e la scadenza è fissata alla fine di questo mese. La decisione della Corte Costituzionale tedesca sul fondo è un avvertimento sul fatto che non tutto è stato ancora risolto.

Tuttavia, anche se il denaro arrivasse e lo facesse in tempo non basterebbe. I Paesi del Sud Europa, soprattutto la Spagna, devono usare gli aiuti non per continuare a fare ciò che hanno fatto finora, bensì per una ristrutturazione del loro sistema produttivo. Questo sarà il test per dimostrare se abbiamo imparato qualcosa durante questo lungo anno. Occorre qualcosa di nuovo e questo significa un cambio di mentalità, una disponibilità a riciclarsi. La parola ricostruzione è inesatta, meglio parlare di ricominciare. Avere sofferto molto non garantisce una predisposizione all’innovazione sociale o economica. Il cambiamento dovrà essere fatto in mezzo a una contrapposizione che è ancora invisibile, ma che prima o poi apparirà.

Per rincominciare occorre molta audacia, l’audacia e l’ingenuità del desiderio di positività inestirpabile in chi vive, memoria doverosa dei morti. Tutto l’attuale disorientamento e l’ostinazione della classe politica per rimanere nel vecchio non lo possono soddisfare.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI