La necessità di “mettere mano” al nostro sistema sanitario è opinione condivisa.  Nelle proposte oggi disponibili nel Recovery plan italiano si legge la necessità di riforme: Definire standard strutturali, tecnologici e organizzativi dell’assistenza territoriale, Istituire un Sistema Nazionale Prevenzione Salute-Ambiente-Clima (Snps) e riorganizzare la rete degli Irccs per contribuire al miglioramento delle eccellenze del Ssn. Molto si discute e si discuterà del rapporto tra Stato e Regioni (quanto accentrare e quanto decentrare) e in alcune Regioni come la Lombardia si ricercheranno riforme del sistema sanitario regionale.

Questo movimento riformista del nostro Servizio sanitario è sicuramente un elemento positivo che porta a ricercare le migliori forme e i migliori modelli per erogare servizi di valore in questo settore davvero strategico per la vita di un paese.

Questa tensione al cambiamento e alla ricerca di modelli di assistenza non deve però dimenticare alcuni aspetti fondamentali, in particolare i professionisti e le organizzazioni in cui lavorano. Tutte le riforme, se non vogliono essere sovrastrutturali e inconsistenti, richiedono di modificare il lavoro delle persone che operano nelle organizzazioni sanitarie. Ad esempio, se si vuole che la presa in carico del paziente diventi una modalità diffusa di assistenza, è necessaria una profonda modificazione delle prassi di lavoro di tutti. Le riforme proprio perché incidono sul lavoro devono vedere nel lavoro un fattore su cui investire, da promuovere, da rendere attore del cambiamento.

Le riforme incidono quindi in modo significativo sull’organizzazione: si modificano assetti istituzionali, si cambiano le regole di funzionamento e decisionali delle “aziende”, si indicano nuovi obiettivi. Tutte queste modificazioni richieste non si ottengono “applicando le leggi” come molte riforme nel nostro paese ci hanno insegnato.  Occorre che le organizzazioni siano in grado di modificarsi e di perseguire i nuovi obiettivi.  Le organizzazioni e il lavoro diventano così gli attori principali del cambiamento.

Ecco perché la prima riforma che deve essere fatta è quella per generare organizzazioni flessibili e responsabili, dove i professionisti trovino le condizioni favorevoli, si riconoscano, possano perseguire gli obiettivi indicati, partecipino a generare le condizioni di successo.  Se c’è un errore che deve essere evitato, è proprio quello di considerare le organizzazioni delle “macchine burocratiche” guidate dal potere politico o professionale.

Burocrazia è pensare di disegnare con leggi o regolamenti modelli organizzativi e aspettarsi che tutto funzioni. Generare condizioni per rendere impersonale il lavoro nelle organizzazioni significa schiacciare tutto con la formalità.  Nelle organizzazioni lavorano persone che hanno aspettative e idee, che sono portatrici di culture ed esperienze. Le organizzazioni sanitarie non sono macchine burocratiche, ma insiemi molto complessi di tecnologie, persone, valori sociali, obiettivi istituzionali e modalità di lavoro che così determinano azioni concrete. Il primo vero errore è ridurre questa complessità a burocrazia, ma anche a politica o alla sola professionalità.

Un elemento che determina i buoni risultati in termini assistenziali è sicuramente la motivazione di chi lavora nelle organizzazioni. Certo, la motivazione non è l’unico fattore, ma è quello che permette di passare dal “dire” al “fare” e che non solo genera soddisfazione del lavoro (un circolo virtuoso indispensabile per il cambiamento), ma che orienta i comportamenti di tutti verso i risultati.

Un secondo fattore che aiuta a determinare buoni risultati è la chiarezza degli obiettivi, il sapere cosa si fa e perché si fa, a tutti i livelli. L’ambiguità genera confusione, disaffezione. La definizione di obiettivi (ovviamente di salute e di miglioramento) è indispensabile per dare all’organizzazione un indirizzo, una modalità di azione.

Un terzo elemento, che non si può dimenticare, è chi guida queste complesse organizzazioni: il management.  La scelta di persone competenti, di persone capaci a motivare a orientate agli obiettivi è indispensabile per non vanificare l’impegno e le risorse.

Infine, il coordinamento, il lavorare insieme, il valutare il processo assistenziale e non solo la singola prestazione specialistica. Una buona riforma deve indicare strumenti e modalità per rendere effettiva questa prospettiva. Il coordinamento necessita non solo di buona volontà da parte dei professionisti (questa è indispensabile), ma anche di metodi e strumenti: dalla condivisione di protocolli e linee guida all’informatica che aiuta a scambiarsi informazioni, dalla collaborazione alla individuazione di un coordinamento che aiuti tutti a svolgere al meglio il lavoro.

La politica di sostegno delle organizzazioni è indispensabile per rendere “realizzabile” tutto il processo assistenziale e le riforme.  Occorre “investire” sulle organizzazioni per renderle capaci di realizzare le finalità delle politiche.

Le nostre organizzazioni pubbliche sanitarie sono talora deboli, non sempre radicate nelle competenze e nello sviluppo di professionalità, alcune volte in balia delle scelte politiche. Tutto questo può generare “scontento” e demotivazione, orientamento al breve periodo e una cultura individualista e opportunistica.  Ma esistono anche esperienze importanti e significative che devono essere valorizzate e premiate per la qualità dei risultati che hanno raggiunto e per la coesione riscontrabile.

Ecco, ci aspettiamo politiche di valorizzazione del lavoro, delle competenze e dell’organizzazione per generare un radicamento del Servizio sanitario.

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