Sono passati dieci anni dal 15 maggio 2011, quando un gruppo di “indignados” occupò la Puerta del Sol a Madrid, al 4 maggio 2021, giorno in cui il centrodestra ha ottenuto una netta vittoria nelle elezioni regionali, lasciando storditi i partiti che mettevano in discussione il bipartitismo.
A metà maggio 2011 lo sconcerto fu grande e pochi sapevano indicare con precisione da dove era uscito quel gruppo di persone che si accampò in una delle piazze più emblematiche della Spagna, il famoso chilometro zero. Arrivarono con i loro sacchi a pelo, montarono le tende per trascorrervi il giorno e la notte e per rivendicare un cambiamento. Ci fu persino chi pensò che fossero utilizzati da Zapatero, il Presidente socialista, per impedire un cambio di governo nelle successive elezioni. Però non era così, le loro richieste erano una risposta alla crisi del 2008, a una crescente diseguaglianza, alla corruzione dei partiti tradizionali, a un sistema politico da cui non si sentivano rappresentati e che mettevano in discussione. Gli indignati del 15 maggio si potevano paragonare al movimento Occupy Wall Street o ai Gilet Gialli francesi. Non ci rappresentano, cantavano gli indignati, non ci rappresenta una globalizzazione che ci fa più poveri, non ci rappresenta un sistema di welfare che esclude i giovani.
Il 15 maggio non fu solo una protesta economica, ma anche il rifiuto delle istituzioni democratiche create a partire dal 1975. Il passato non era sufficiente, non bastava una delle migliori transizioni alla democrazia della storia. Alle nuove generazioni non era stato trasmesso il valore del miracolo di una riconciliazione nazionale con pochi precedenti. Il sistema partitico, escludendo i partiti nazionalisti, costituito da un bipartitismo quasi perfetto (senza partito liberale di centro), era ed è un sistema chiuso, senza molte connessioni con la vita sociale. Questi partiti trasformati in apparati chiusi vennero rifiutati.
Dieci anni dopo, le ragioni del malessere continuano a essere le stesse. L’uscita dalla crisi causata dal Covid non risolverà i problemi delle diseguaglianze, che certamente aumenteranno nel gruppo che, in Spagna, esce più vulnerabile da ogni recessione: i giovani.
Neppure il rapporto tra partiti e società è migliorato, anzi, è probabilmente peggiorato. La protesta del 15 maggio fu rapidamente interpretata, assorbita, incanalata da un nuovo partito: Podemos. Fu un brillante successo, ma ora sembra che anche questa stella sia in procinto di spegnersi. In dieci anni, la formazione guidata da Pablo Iglesias è passata dall’aspirazione a diventare il principale partito della sinistra a essere una forza minoritaria. Neanche l’aver partecipato al primo governo di coalizione della storia recente è servito per sopravvivere. I suoi problemi fondativi sono talmente seri che la partecipazione al potere accelera la sua decomposizione.
Podemos non ha saputo strutturare una formazione nazionale e i suoi riferimenti ideologici ancorati alla sinistra latinoamericana non servono in Europa. Il narcisismo del suo leader, Pablo Iglesias, ha provocato una serie di epurazioni in una formazione molto giovane. Il partito che doveva redimere il sistema ha più difetti delle vecchie formazioni.
Podemos, con la sua critica alla transizione del ’78, ha risuscitato uno scontro proprio degli anni ’30 del secolo scorso. Il suo presunto antifascismo, risposta a un fascismo inesistente, ha finito per trasformare il suo discorso in qualcosa di inverosimile. Questo approccio insensato, utilizzato nelle elezioni della Comunità di Madrid e al quale si è inspiegabilmente unito un partito come il Psoe, ha contribuito a dare un’ampia vittoria al centrodestra. Gli elettori del Pp si sono mobilitati massicciamente per dire un netto no a un governo di socialisti e Podemos. La sinistra si è divisa e una formazione come Más Madrid, più vicina ai verdi, ha superato i socialisti. Gli elettori hanno chiaramente voltato le spalle a un discorso polemico ormai superato. Podemos, con pochissimi contributi alla gestione, ha intossicato il dibattito nazionale strumentalizzando un malessere in qualche caso giustificato.
Le elezioni dello scorso 4 maggio possono essersi trasformate in un inizio della fine anche per Ciudadanos, l’altro partito comparso nella vita pubblica per rigenerare il sistema bipartitico. Precedente al 15 maggio, è cresciuto come formazione nazionale a partire dal 2011, apparendo quale alternativa di centro per i delusi dal Psoe e dal Pp, per chi era stanco della corruzione e della partitocrazia. Si tratta di una formazione necessaria in una Spagna nella quale non vi sono quasi punti di accordo tra destra e sinistra. I suoi sistematici errori sono però la prova che in politica la buona volontà non basta. Arrivati per dimostrare che il voto non è questione di lealtà ad alcune sigle, sono ora sul punto di scomparire proprio perché i suoi elettori non si fidano più.
Il Pp di Ayuso ha vinto a mani basse ottenendo i voti di Ciudadanos, di chi vuole punire il Governo dei socialisti e di Podemos. E anche di chi è stanco di una politica di contrasto alla pandemia basata sulle restrizioni. Madrid indica un cambiamento di ciclo, un ritorno al bipartitismo. Tuttavia, una buona parte dei problemi all’origine del 15 maggio continuano a essere presenti e probabilmente aumenteranno nei prossimi mesi.
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