È un seminterrato della parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica cattolica di Gaza, nel centro della città vecchia, tra strette vie. È un seminterrato, ma è come se fosse un’oasi. In questo periodo dell’anno fa già abbastanza caldo nella Striscia, ma le stanze sono fresche e in penombra. Fuori si sentono i razzi lanciati da Hamas e la violenta risposta dell’esercito israeliano, che distrugge edifici e provoca decine di morti. Nella casa delle sorelle di Madre Teresa è cambiato poco da quando è tornata a riaprirsi la ferita della guerra eterna, la guerra di sempre. Con i loro sari, le suore vanno da una culla all’altra dei 50 bambini disabili di cui si prendono cura.
Un’oasi a Gaza, un’oasi nella quale ci si prende cura della vita più indifesa. Fuori, anche prima che cominciassero gli ultimi bombardamenti, prima che arrivasse il Covid, la lotta per la vita era già feroce. Gaza vibra, ride, perfino gioca, perché quattro su dieci abitanti della più grande prigione del mondo, una prigione a cielo aperto, sono bambini e giovani che non sono mai usciti dai suoi 385 km quadrati. Il blocco imposto da Israele dal 2007 e le tre ultime guerre (2008, 2012 e 2014) hanno trasformato la Striscia in un immenso campo profughi, dove l’80% della popolazione vive di aiuti internazionali. Per questo è così importante che rimangano aperte scuole come quella delle Suore del Rosario, un’altra istituzione cattolica, danneggiata dai bombardamenti per la sua vicinanza ai tunnel di Hamas.
I bambini nelle culle delle sorelle di Madre Teresa non sanno che il fragore che sentono è quello della guerra eterna, che è scoppiata di nuovo con gli ingredienti di sempre e con qualche novità.
Israele ha diritto di difendersi, ci mancherebbe altro! Tuttavia, da quando Netanyahu è salito al potere nel 2009, la politica israeliana si è andata allontanando da una possibile pace. Israele ha fatto passi importanti per garantire la sicurezza dei suoi cittadini, ma si è sempre più allontanata da una possibile convivenza pacifica non solo con i palestinesi dei territori di Gaza e Cisgiordania, ma anche con il 20% di arabo-israeliani che vive all’interno dei propri confini. Hamas, sostenuta da Qatar e Turchia, trova in questa mancanza di volontà di pace la perfetta giustificazione per continuare a minare la credibilità di un’incapace e incompetente Autorità nazionale palestinese.
Negli ultimi undici anni, Netanyahu non ha avuto altro progetto se non il lasciare inattuati, nei fatti, gli Accordi di Oslo e qualsiasi altra formula per un processo di pace ormai morto e sepolto (quello di Trump è stata una caricatura). Le divisioni tra i palestinesi e la debolezza dell’Anp, che non ha neanche voluto riprendere il controllo della Striscia di Gaza, gli hanno permesso di portare a termine l’espansione delle colonie nei territori occupati e la giudaizzazione dello Stato di Israele, senza significative resistenze e con susseguenti appoggi elettorali. Quando questi appoggi hanno cessato di essere sufficienti, perché tornassero a esserlo si sono ripetute per quattro volte le elezioni.
Questa è la logica che lo ha portato a promuovere l’espulsione dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme o a considerare normale che la polizia reprimesse i musulmani nella Spianata delle Moschee: i due fattori che hanno provocato gli ultimi scontri. I palestinesi hanno, di fatto, perso, ma non sono disposti ad accettare un’umiliazione dopo l’altra. Hamas aveva bisogno di un pretesto per riaprire la ferita e darsi una legittimazione che da quindici anni sta diminuendo tra la popolazione di Gaza, che ha fame e sete di futuro. L’organizzazione islamista sapeva che la risposta sarebbe stata violenta, ma ha pensato che, come in altre occasioni, il dolore la rafforza. Lanciando i razzi contro Israele, Hamas dice ai palestinesi che è l’unica a difendere il loro onore e lo ha fatto mentre l’Anp rinviava le elezioni che, dopo quindici anni dalle ultime, dovevano tenersi a maggio. I razzi di Hamas vanno sempre contro Israele e l’Anp. Dopo più di un centinaio di morti, Netanyahu avrà più legittimizzazione, così come l’avrà Hamas.
Netanyahu e Hamas rafforzati, gli israeliani e i palestinesi più lontani dalla pace. In ogni puntata di questa guerra si rompe qualcosa e quello che si è rotto ora è la pace nelle città dove convivevano israeliani e arabi-israeliani. Fino a qualche mese, qualche anno fa, quando uno si allontanava da Gerusalemme e dai territori occupati, fino a Tel Aviv o la Galilea viaggiava verso un altro mondo. Un mondo dove i cittadini ebrei, musulmani e cristiani convivevano, con il ricordo degli oltraggi del passato, ma senza violenza. In questi giorni, in cittadine come Lod nei pressi di Tel Aviv, sono scoppiati scontri tra ebrei ultra-ortodossi e arabi-israeliani. Il nazionalismo che politicizza la religione non porta nessun bene al Paese.
Non c’è pace senza giustizia, né giustizia senza perdono, diceva un vecchio adagio di vent’anni fa. Non ci sarà pace senza che, in qualche modo, raggiunga tutti parte dello sguardo e della passione per la vita delle sorelle di Madre Teresa nel loro seminterrato di Gaza.
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