Mohamed diceva, nel suo scarso spagnolo, di avere 16 anni, ma dalla sua faccia e dalla sua altezza era probabile ne avesse tre o quattro meno. Aveva i denti in disordine e il corpo minuto. Da due notti dormiva su dei cartoni sotto una palma sul lungomare di Ceuta. Da quando era saltato in acqua alla spiaggia del Tarajal e aveva percorso a nuoto i 50 metri che separano il Marocco dalla Spagna, era riuscito a trovare qualcosa da mangiare, ma le notti sono fredde.

La stragrande maggioranza dei marocchini entrati in Europa, dopo che il re Mohamed VI ha tentato di ricattare il suo vicino del nord, verrà rimpatriata. Ceuta è piccola e la maggioranza di quelli che si sono buttati in mare (le loro teste erano piccoli punti neri tra le onde) lo ha fatto perché ingannata: dalle promesse su internet di una partita di calcio con Ronaldo o perché pensava di andare in gita.

Queste persone, mentre si aggirano nella città spagnola del Nord Africa, spiegano che nel loro Paese non c’è lavoro, che la polizia è cattiva, che vogliono studiare, che vogliono avere un futuro. Mohamed non vuole tornare in Marocco, ma è probabile che lo abbia già fatto o che sia sulla nave al confine dove sono stati radunati i minori. È probabile che si sia messo a piangere, come altri, quando è riuscito a parlare al telefono con la madre. Ora starà aspettando che sua madre e lui stesso siano identificati correttamente, perché non si crei un caso di tratta di minori.

Mohamed non voleva tornare, come anche Mamadou. Li hanno raggruppati sulla spiaggia con altri subsahariani e l’esercito ha agito in modo sbrigativo: non è stato un rimpatrio volontario. Mamadou si è spogliato in segno di protesta e si è aggrappato agli stivali di un soldato. Con il suo corpo nudo sopra le pietre della spiaggia, gridava disperato, implorando che lo lasciassero rimanere in Spagna. Non c’è stato nessun accertamento per sapere se fosse un possibile rifugiato, né per verificare la sua età. Mamadou aveva scelto il momento sbagliato per arrivare a nuoto in Spagna, cioè quando Mohamed VI aveva deciso di sfidare la sovranità spagnola.

L’entrata di 10.000 persone, una settimana fa, attraverso la frontiera tra Spagna e Marocco non è stata una crisi migratoria, ma è tornata a porre in evidenza la debolezza della politica su migrazioni e asilo dell’Unione europea. Non è stata una crisi migratoria, perché Mohamed VI, con un errore di calcolo, ha voluto sfidare la Spagna per ottenere il riconoscimento della sovranità del Marocco sul Sahara. Il problema è dal 1991 in mano alle Nazioni Unite, ma non si è ancora potuto effettuare un referendum per l’autodeterminazione, malgrado vi siano tutti i requisiti previsti dal diritto internazionale. Mohamed VI ha pensato che l’appoggio di Trump alle sue rivendicazioni sul Sahara, non modificato da Biden, gli permettesse di far pressioni su Spagna e Germania perché gli dessero il medesimo appoggio. Il Marocco è l’alleato degli Stati Uniti nel Magreb, è uno dei Paesi a maggioranza musulmana che ha firmato gli Accordi di Abramo con Israele, è una barriera verso l’islam integralista e jihadista. Mohamed VI ha però sovrastimato la sua forza nel predisporre una “invasione di civili” strumentalizzando i loro sogni. Ha fatto lo stesso gioco di Erdogan quando fece pressione sulla Grecia nel febbraio 2020. La risposta del popolo spagnolo è stata meno aggressiva di quella greca.

La Spagna ha visto aumentare vertiginosamente la popolazione di Ceuta di un 10% ed è diventato chiaro che il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo presentato lo scorso settembre da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione, benché approvato dal Consiglio europeo, è insufficiente. Il controllo delle migrazioni nel Mediterraneo centrale è subappaltato alla Libia e ciò comporta uno scarso rispetto dei diritti umani. Il sistema di asilo è fallito fin dal 2015 e non funziona il Regolamento di Dublino, che stabilisce che l’asilo possa essere richiesto solo nel Paese di arrivo. Non sarebbe nemmeno sufficiente che, come stabilisce il Patto sulla migrazione e l’asilo, venisse migliorata l’identificazione alle frontiere, rafforzando il sistema Eurodac. Neppure basterebbe fissare un limite di dodici settimane per rispondere a una richiesta di asilo. Finché i meccanismi di solidarietà con i Paesi del sud dell’Europa saranno di “contributo flessibile”, non obbligatorio e solo in caso di crisi, di fatto non verrà riconosciuto a Spagna, Grecia e Italia il loro stato di frontiera meridionale di tutta l’Europa.

Nel caso di Ceuta, Bruxelles è riuscita a riportare a più miti consigli Rabat, ricordando i quasi 400 milioni di euro all’anno che riceve in aiuti. Tuttavia, questa non è una soluzione stabile del problema.

Mohamed e Mamadou hanno bisogno di un futuro. Il miglior futuro sarebbe in Marocco e in Guinea Conakry, ma per questo c’è bisogno di molte cose, tra cui investimenti e consolidamento della democrazia. L’Europa non può cessare di aiutare a costruire questo futuro, perché non è possibile mantenere stabile una frontiera se continua a esistere una differenza abissale nei redditi. Tutta l’Europa, specialmente la Spagna, ha bisogno di molti Mohamed e Mamadou, disposti a integrarsi e a mantenere a galla il Vecchio Continente. Mohamed e Mamadou meritano un sistema migratorio che non metta in pericolo le loro vite.

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