Molti osservatori, amministratori e politici ritengono che il sistema sanitario lombardo debba essere modificato. La legge regionale 23/2015 che determina le caratteristiche del sistema sanitario e sociosanitario ha subito numerose critiche ed è vista come inadeguata rispetto al perseguimento di qualità ed efficienza nella erogazione dei servizi sanitari.
Peraltro, è da ricordare che è stata valutata anche dalla Agenzia Sanitaria delle Regioni (Agenas) e in un documento articolato è stata valutata inadeguata. L’assessore regionale, la Giunta regionale, la commissione consiliare e il consiglio regionale stanno operando per una riforma.
Quali sono gli elementi che richiedono i cambiamenti? Sicuramente tutti hanno riconosciuto che l’assistenza territoriale non ha prodotto i frutti sperati e quindi sicuramente questo è il tema su cui apportare modifiche, cioè individuare modalità che permettano processi assistenziali più efficaci a livello territoriale.
Una prima osservazione. Le regole presenti nella legge sul servizio territoriale sono ricomprese negli articoli: art. 9 (Modelli di presa in carico per il paziente cronico e fragile); art 10 (Sistema delle cure primarie); art. 7 (Aziende sociosanitarie territoriali e aziende ospedaliere) per i presidi ospedalieri territoriali (POT) e per i presidi sociosanitari territoriali (PreSST) e infine per l’articolo 7 bis (i distretti). Questi articoli evidenziano un’organizzazione che appare molto articolata, con definizione di funzioni e modalità di lavoro sicuramente interessanti (dalle unità complesse di cure primarie -UCCP- alle aggregazioni funzionali territoriali -AFT-, dai POT ai PREST). Ma questa articolata modalità non ha funzionato. Il modello non ha prodotto risultati perché in pratica non appare realizzato se non a spicchi e bocconi: il distretto come osservato anche da Agenas non è ben definito, la riconversione in POT e PREST è avvenuta troppo lentamente, UCCP e AFT sono poco praticati a livello regionale. Inoltre, i CRT (coordinamento per le reti territoriali) hanno sviluppato in questo ultimo periodo una funzione di coordinamento come previsto dalla normativa nazionale (legge 77/2020). Si valuti inoltre la ricchezza dei servizi che sono presenti nel territorio, dall’assistenza domiciliare, consultori, Sert, Centri diurno, Centri diurni disabili, cure palliative, ecc. e che dovrebbero trovare adeguata integrazione per erogare servizi fortemente coordinati. Questa sussidiarietà è un valore da considerare in qualsiasi riforma.
Una seconda osservazione. È molto probabile che non sia stato il modello a non essere “teoricamente” valido. Molte funzioni erano presenti, molte attività di coordinamento sono state indicate. È possibile che la forza “attuativa” sia stata debole e incapace di riorganizzare i servizi rispetto a quanto previsto dalla normativa.
Da qui una prima raccomandazione: le norme riescono a realizzarsi non solo se sono ben rappresentati i modelli, ma se le capacità attuative sono presenti. Da qui la necessità di definire una riforma che sia sostenuta da capacità attuative, cioè da professionalità che siano in grado di operare per ottenere risultati, per generare cambiamento, per promuovere quanto indicato dalla norma. In pratica si tratta di scegliere professionalità nei ruoli cruciali in grado di generare tutto questo. L’organizzazione non deve vedere l’attuazione di una norma (concetto ottocentesco), ma la capacità di generare le condizioni perché i vari soggetti operino focalizzando l’obiettivo che la norma mette in luce. Quindi il cambiamento è un processo che deve essere sostenuto nel tempo e che richiede una focalizzazione continua.
Una terza osservazione. Cosa cambiare nel modello? Occorre sviluppare due aspetti: i medici devono lavorare insieme. Insieme vuol dire non solo nello stesso edificio (questo può essere molto utile ma non sufficiente), ma occorre che ci siano progetti comuni, processi assistenziali condivisi, condivisione di criteri per il miglior impiego di infermieri, accesso di specialisti. Ecco, quello che caratterizza molte attività territoriali è la solitudine del medico, lo scarso confronto, l’intervento delle ATS e ASST vissuto come burocratico. Questo deve essere fortemente modificato.
Come? Innanzi tutto, individuando dei ruoli tra i mmg e nel distretto che coordinano che portano avanti progetti comuni. Qui la riforma normativa può essere necessaria. Il coordinamento dei medici passa non solo dalla volontà, ma anche da un ruolo organizzativo che ha come obiettivo di coordinare i colleghi, di promuovere processi assistenziali condivisi, di facilitare il contatto con altri professionisti di ospedali, ambulatori, dedicati ad attività specialistiche, sviluppare e coordinare progetti, ecc..
Gli interventi non devono essere vissuti come burocratici e impositivi e le relazioni tra professionisti devono essere in tutto facilitata. In questo l’informatica e la telemedicina potrebbero aiutare. La continuità delle cure necessita informazioni condivise tra professionisti e contatti sistematici tra professionisti. Per questo più che riforme normative serve determinazione per rendere l’informatica disponibile, piattaforme di telemedicina condivise, politiche che favoriscano l’utilizzo e ovviamente risorse per sostenere questo grande sforzo.
Una quarta osservazione. Il sistema di remunerazione delle attività oggi presente è fortemente centrato sulla prestazione. Suggerisco di virare ad altri sistemi che premiano la continuità assistenziale e la presa in carico (già esperienze sono state fatte nella Regione Lombardia). In questo caso la nuova norma potrebbe indicare la strada da percorrere in un triennio: definire sistemi di finanziamento innovativi e premianti la collaborazione tra punti di offerta in una prospettiva di percorsi di cura.
Una osservazione finale. I sistemi di controllo devono essere presenti. Molti ce ne sono, ma non tutti forse utili per sostenere il cambiamento. Occorre progettare sistemi di controllo orientati al miglioramento e alla qualità. Occorre soprattutto per i livelli territoriali mettere in atto sistemi di valutazione sulla qualità e sulla capacità di risposta ai problemi, innanzi tutto per migliorare l’assistenza e aiutare i professionisti a svolgere al meglio il loro lavoro. In questo la riforma può delineare un sistema di piani e controlli tutti orientati al miglioramento e non alla verifica formale (sicuramente necessaria). Preminente è l’assistenza e il miglioramento deve essere la nuova cultura assistenziale diffusa là dove si incontrano i pazienti.
Infine, una osservazione su dove incardinare i distretti: nelle ASST o nelle ATS. Un criterio deve essere concreto: dove ci sono le migliori possibilità di riuscire? In altri termini dove è possibile attrarre le migliori competenze? Infatti, una delle condizioni di successo (di ogni modello normativo) è la presenza di competenze di valore nei ruoli chiave, che nel caso dei servizi territoriali sono i ruoli di coordinamento. I modelli normativi definiscono criteri, ma è grazie alle capacità gestionali e professionali che i risultati si realizzano. Quindi è indispensabile che i professionisti trovino queste posizioni attraenti, posizioni che devono concretamente poter incidere nella gestione e che siano anche riconosciute con significativo “status”. Considerando la grande sfida della riqualificazione dei servizi territoriali occorre rendere attraente i ruoli di coordinamento di questi servizi.
In conclusione: sì a modifiche alla legge attuale, ma soprattutto è indispensabile definire come implementare il cambiamento. Molte norme (buone intenzioni) non hanno generato i risultati sperati perché è mancata la capacità realizzativa. Occorre investire su questa!
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