La scelta di Draghi di concentrarsi su vaccini e Piano di Rinascita e Resilienza sta dando frutti importanti. Il testo inviato alla Commissione sembra essere del tutto in linea con le attese e contiene passaggi rivoluzionari sulla riforma della Pa e sulle linee guida dello sviluppo del paese per i prossimi anni. Scelte che imporranno l’apertura di cantieri, la riforma di settori importanti della gestione pubblica e l’avvio di una stagione di investimenti green di magnitudine tale che si fa fatica a tornare indietro nei decenni per trovare tanta ambizione.

Anche sui vaccini ha impresso una svolta. La scelta di affidarsi all’asciutta logica militare e di abbandonare le tentazioni di usare la campagna vaccinale come spot elettorale ha prodotto numeri migliori ed accorciato la catena di comando. I numeri crescono e la pandemia appare arretrare. Meglio si può sempre fare, ma già avere cambiato passo è stato importante.

Nelle prossime settimane si definiranno le nomine nella partecipate pubbliche e si metterà a fuoco la squadra che coordinerà l’uso dei primi fondi. Andranno in Parlamento i primi provvedimenti e si respirerà un’aria nuova, riformatrice, e Draghi ha fatto già intendere che dialogherà con tutti i partiti della maggioranza ma, alla fine, deciderà da solo, come ha deciso da solo priorità e contenuti sino ad oggi.

Manca però a Draghi una cinghia di trasmissione con la società reale, uno strumento di reale applicazione delle sue idee anche in momenti importanti della vita democratica che non sia il “Governo delle priorità”. La sua capacità di dialogo muto, fatto di atti e brevi e forti frasi, sta funzionando, ma serve al paese e al Mezzogiorno un passaggio di grande profondità culturale e storica, che da solo, Draghi, non potrà dare. Nel Paese in cui ancora ci sono tre morti al giorno sul lavoro, in cui le mafie sono ancora forti e potenti, in cui gli immigrati vivono in favelas maleodoranti per raccogliere ortaggi e frutta, ed in cui intere regioni sono ancora incapaci di adeguare il passo alla nuova via indicata, la sola azione della “presidenza Draghi” rischia di non essere incisiva come meriterebbe.

Molti partiti temono l’effetto Monti e costantemente si smarcano dalle posizioni di Draghi, come sul coprifuoco, cercando di strizzare l’occhio al pezzo di Paese che vede in questa fase una parentesi che si chiuderà con il ritorno ai vecchi vizi. Il messaggio che i partiti vogliono far passare è quello di non confondere Draghi con la sua maggioranza. Tanto è vero che molti dei territori più beneficiati dal nuovo corso, il Mezzogiorno in particolare, faticano a ben interpretare questa fase, distratti dai partiti su altri argomenti.

La richiesta giusta del Mezzogiorno di maggiori fondi e di maggiore attenzione del Sud, infatti, dovrebbe essere accompagnata dalla necessaria responsabilità della sua classe dirigente di far sì che gli impegni presi vengano rispettati partendo dalla tolleranza zero verso devianze ed illegalità spacciate, in alcuni casi, ancora per tipicità culturali. I fondi verranno erogati come i vecchi Sal, gli stati avanzamento lavori che si pagano solo quando un pezzo delle opere in casa è finito. Se non ci sarà dedizione ed applicazione, il flusso si fermerà e la situazione debitoria esploderà. Questo vuol dire che la responsabilità da condividere e spiegare ai cittadini è di natura anche etica oltre che giuridica.

Fare debito sulla credibilità, infatti, come ha fatto Draghi, presuppone di mettere a disposizione il proprio onore e impegnarsi a cambiare passo, in cambio delle risorse. Significa assumersi la responsività di modificare i comportamenti e mettere argine ai saltafila, alle miserrime condizioni di alcune sanità regionali del Mezzogiorno, alla connivenza tra pezzi di ceto produttivo e malaffare. Ci vuole, in sostanza, una richiesta di irrigidimento di controlli proprio per il Mezzogiorno, proprio perché una parte importante dei ceti produttivi di quelle aree ha bisogno di sapere che lo Stato, la politica, le istituzioni, vigileranno con ferocia affinché queste risorse vengano spese bene e non arraffate.

E così accanto alla task force che dovrà spendere i soldi, ce ne vuole un’altra, altrettanto forte e preparata che, nel Mezzogiorno in particolare, vigili su chi prenderà con sub-appalti e affidi diretti quei fondi e che impedisca, prevenendo, che la magistratura inquirente se ne occupi.

Il modello Expo a Milano è riuscito, in larga parte, ad eliminare infiltrazioni e approfittamenti appoggiandosi a quella che era l’Anac di Cantone. Ora che la dimensione della spesa da fare è maggiore serve un chiaro messaggio. Soldi sì, ma responsabilmente e nitidamente investiti, tolleranza zero per le aree grigie dell’imprenditoria infiltrata e per i corrotti, regole sul lavoro, sul tracciamento dei flussi finanziari applicate senza sconti. Una severità pari alla generosità con cui l’Europa si è mostrata solidale, un severità soprattutto nel Mezzogiorno, per tutelarlo dalle mafie e promuovere le imprese sane e forti che esistono ma che devono competere spesso con l’economia grigia e illegale che si nasconde dietro la visura camerale immacolata di qualche testa di legno. Un controllo preventivo e non successivo come quello della Corte dei Conti o della Magistratura.

Severità per far crescere il Mezzogiorno oltre che con le risorse anche con un incremento dei controlli, vuol dire alzare il livello delle imprese e favorire l’arricchimento dei lavoratori, dei professionisti e delle imprese che nei controlli vedono un alleato e non un nemico. Se Draghi saprà mettere in piedi un meccanismo che controlli e verifichi (un audit interno) cosa si sta facendo con i soldi mentre li si spende e che impedisca alle risorse di finire disperse nelle mani di criminali, riuscirà a garantire al Mezzogiorno un futuro fulgido e avrà fatto molto di più lui per il Sud con le poche parole e tanti fatti che anni di chiacchiere sul tesoro dei Borbone.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI