Si riaccendono i motori della sanità lombarda e si riparte. O almeno così sembra, dato che con Delibera n. 4811 del 31 maggio la Giunta regionale lombarda ha approvato le “Linee di sviluppo della legge regionale n. 23/2015”. Dopo cinque anni di applicazione sperimentale la riforma sanitaria lombarda (appunto la legge regionale 23/2015), così come prevede la normativa, è stata sottoposta a valutazione da parte del ministero della Salute (attraverso Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), che ha proposto l’introduzione di alcune modifiche ritenute “obbligatorie” e altre suggerite come “consigliate”.
Perché, da parte della Giunta, la proposta di linee di sviluppo e non di un testo formale di riforma? Lo ha spiegato l’assessore Moratti nell’incontro pubblico che si è tenuto venerdì 4 giugno in Consiglio regionale (in presenza, ma anche con più di 100 persone collegate via web), dicendo che si è scelto di valorizzare il percorso consiliare (a cui adesso è passata la palla per il seguito di competenza) e la discussione aperta, discussione di cui l’incontro del 4 giugno ha rappresentato appunto l’inizio del percorso.
Si tratta per ora di linee di sviluppo, cioè di indirizzi che esprimono le intenzioni della Giunta, che vede in esse una revisione del servizio socio-sanitario regionale, ma non il suo stravolgimento: vengono infatti ribaditi i princìpi fondanti del modello lombardo, come la libertà di scelta e la convivenza tra pubblico e privato, preceduti però da un principio nuovo che verrebbe applicato per la prima volta nell’ambito della programmazione regionale in materia socio sanitaria: il principio cosiddetto “One Health”, inteso come “l’approccio di una salute complessiva per le persone, gli animali e l’ambiente”.
A una prima lettura, a cui dovranno seguire i necessari approfondimenti tecnici, emergono due passaggi metodologici di rilievo: da una parte, vi è l’accettazione in toto (almeno in linea di principio) delle modifiche alla legge lombarda proposte dal ministero e ritenute “obbligatorie” (si tratta di modifiche tese a portare nella legge regionale diverse caratteristiche delle leggi nazionali che al momento non sono presenti nella legge 23), ma contemporaneamente la non adesione alle proposte suggerite come “consigliate”; dall’altra, vi è il tentativo di introdurre nella costruenda riforma le opportunità offerte dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), e cioè reti di prossimità, strutture intermedie (Case della comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità), telemedicina e via dicendo.
Gli esperti intervenuti all’incontro del 4 giugno hanno già fatto vedere come, da una parte, le linee di sviluppo dettate dalla Giunta si prestino a soluzioni organizzative piuttosto diversificate, sottolineando come più che il modello generale teorico sia importante la sua applicazione in pratica (difetto che più osservatori imputano non all’impostazione, ma all’implementazione della legge 23 nel suo quinquennio di vigenza); dall’altra, ci si interroga sulla reale capacità di alcune delle soluzioni prefigurate (esempio, le Centrali operative territoriali) di aderire ai princìpi fondativi del modello lombardo, in particolare alla libertà di scelta e alla sussidiarietà.
Qualcuno si è già spinto in avanti, perché ha visto nelle linee di sviluppo proposte la prefigurazione di un modello sanitario che potrebbe diventare un riferimento, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra ospedale e territorio, e qualcun altro ha invece provato a suggerire soluzioni tecniche specifiche che necessitano ovviamente di opportuni approfondimenti: tutti, però, al momento concordano su un fatto, e cioè che l’implementazione delle linee di sviluppo richiede nuovi livelli di professionalità, nuove figure per nuovi ruoli (manageriali in particolare) e vi è quindi la necessità di prevedere (attraverso le diverse strutture che si dedicano alla formazione) adeguati percorsi di preparazione e di crescita dei professionisti.
Riportare in primo piano la discussione sul Sistema sanitario lombardo (ma è il Sistema sanitario nazionale, più in generale, che necessiterebbe di una seria riflessione che non vediamo sorgere) è certamente un evento positivo se non si tratta solo di fare chiacchiere: senza per ora entrare nel merito e prendere cappello sulle proposte prefigurate vale comunque la pena di dare almeno fiducia al tentativo in corso.
Ci permettiamo però tre piccoli (o grandi, dipende dai punti di vista) suggerimenti di tipo generale: il primo, occorre un deciso salto di qualità sul socio-sanitario (e sul sociale), ancora non sufficientemente valorizzato nelle linee di sviluppo proposte; il secondo, è necessario insistere di più sulla sussidiarietà nelle soluzioni da implementare (ad esempio, attraverso la valorizzazione delle esperienze e delle realtà locali, istituendo una collaborazione estesa con il privato sia profit che non profit, coinvolgendo a tutto tondo il mondo del volontariato), perché è una cifra che caratterizza complessivamente il sistema della produzione e dei servizi della Lombardia e non solo la sua sanità; il terzo, si deve dare adeguato spazio ai grandi insegnamenti che ci sta consegnando il lungo, difficile e costoso (soprattutto in termini di vite perse e di sofferenze non solo individuali) affronto dell’attuale pandemia.
Per ora ci fermiamo, ma torneremo sull’argomento.
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