Riparte l’offerta di lavoro: sono oltre 560mila le assunzioni nelle imprese previste per il mese di giugno e salgono a quasi 1,3 milioni per il trimestre giugno-agosto (dati Excelsior di Unioncamere e Anpal). La ricerca di personale dovrebbe superare questo mese anche quella registrata a giugno 2019, in epoca pre-Covid. Manifatturiero, turismo, commercio e costruzioni i settori trainanti.
Tra le imprese più colpite dal Covid ci sono quelle ad alta occupazione femminile (nel 2020 su 4 posti di lavoro persi, 3 sono stati persi da donne) e giovanile, come l’ospitalità e il turismo. E la ripartenza dell’economia dovrebbe compensare almeno un po’ coloro che, nel nostro Paese, hanno vita più difficile nel mercato del lavoro: le donne.
Sono tante le ragioni di queste difficoltà, dalla mancanza di servizi per l’infanzia (gli asili nidi pubblici e privati riescono ad accogliere il 24-25 per cento dei bimbi); all’impegno per la cura degli anziani perlopiù sulle loro spalle; alla rigidità dell’organizzazione del lavoro che non facilita la conciliazione con i tempi della vita privata. E, non ultimo, un problema di cultura aziendale che ritiene la produttività figlia del fatto che i lavoratori concepiscano la propria vita in funzione del lavoro e quindi il meno possibile “distratta” da altri interessi e legami.
Eppure l’esperienza vissuta e la ricerca dimostrano che, a certe condizioni, le donne lavoratrici, che hanno famiglia, sono mediamente più efficienti nella loro professione delle altre.
“Guarda che quando si fanno i bucatini o si stira si può anche pensare”, mi disse un’amica professoressa a cui chiesi come faceva a conciliare la cura di tre figli con la carriera.
Gli studiosi del settore sono dello stesso parere. Una ricerca condotta da Matthias Krapf dell’Università di Zurigo, Heinrich Ursprung dell’Università di Costanza e Christian Zimmermann della Federal Reserve Bank di Saint Louis nel 2016, ha mostrato che nell’arco di 30 anni di carriera, le donne con figli sorpassano in tutti i parametri le colleghe che non ne hanno avuti. Infatti, se nel breve periodo le mamme hanno una percentuale di perdita di produttività di circa l’11 per cento per ciascun figlio nell’età puberale, così due figli comportano un declino del 22 per cento e tre del 33 per cento, nel lungo periodo le mamme addestrate negli anni precedenti a svolgere diverse mansioni, alla efficienza organizzativa e alla velocità di esecuzione di più attività migliorano anche il risultato sul lavoro.
Ancora, conferma il dottor Heejung Chung, sociologo dell’Università del Kent, con uno studio condotto su oltre 10 mila economisti che lavorano in accademia, ha dimostrato che, in media, la produttività delle donne che hanno almeno un figlio è più alta rispetto a quella delle donne che non sono madri. Lo stesso studioso ha dimostrato che il fatto di doversi prendere cura dei figli fa sì che le capacità manageriali vengano incrementate, insieme all’abilità di risolvere conflitti sul posto di lavoro. Le madri, inoltre, sanno gestire molto meglio il tempo, riescono a mantenere più a lungo la concentrazione e sono più attente alle scadenze.
Per questo gli imprenditori e i manager che “consigliano” alle donne di non sposarsi o di non fare figli, o che fanno mobbing morbido quando le donne tornano dopo la maternità estromettendole dai progetti importanti o le fanno lavorare fino alle 11 di sera in studi professionali incuranti dei loro impegni familiari, dovrebbero porsi più di una domanda.
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