A che “serve” un individuo nel Mezzogiorno d’Italia? Quali sfide, quali percorsi gli si aprono? Nelle democrazie occidentali la capacità dell’uomo di trovare una propria possibile espressione di se stesso attraverso il lavoro e la vita sociale ha costituito la migliore e più grande rivoluzione che si potesse sperare. Ognuno può costruire, almeno nelle intenzioni, una propria autonomia ed una propria dignità trovando nel contributo alla società in cui vive un fine ultimo sociale di grande forza e che rende la società stessa più capace di accogliere e costruire benessere.
Apprezzare le competenze e le capacità è una dote delle democrazie autenticamente liberali, poiché il valore dell’individuo si misura dalla propria capacità di fare un percorso grazie al proprio impegno: conta la strada fatta, non dove si arriva. Questa strada assolutamente individuale è segnata da bordi precisi. Da un lato la consapevolezza delle regole che valgono per tutti e dall’altra il benessere proprio e dei propri cari. Da un lato il limite è la legge dall’altro al capacita di coinvolgere nel primo benessere chi è più vicino.
La società moderna è figlia di questa sfida che ogni individuo lancia a se stesso e per la quale combatte e vive seguendo regole e indirizzi nella legittima aspettativa che il proprio agire porti, al netto dei rovesci della vita, a risultati quantomeno accettabili. Ma cosa accade quando i limiti entro cui muoversi sono indefiniti e la strada poco chiara?
Come sa chi ha vissuto nel Mezzogiorno, la grande umanità che lo pervade ha come contraltare uno smarrimento civico ed una difficoltà a seguire con semplicità percorsi che altrove sembrano semplicemente garantiti. L’affermazione imprenditoriale, professionale o sociale sono frutto di un cammino quasi sciamanico che si dipana attraverso difficoltà e ostacoli che trovano spesso la propria fonte proprio nel Mezzogiorno stesso. Il contesto sociale alternativo, che vive la propria esistenza al di fuori della strada tracciata in tanti altri Paesi, è fatto di aggregati criminali, logiche feudali e sfruttamento del lavoro. Una contro-realtà viva e permanente che crea i suoi miti, le sue culture ed i suoi percorsi.
In questo mondo off-road un uomo vale solo se appartiene a qualcuno. Se è affiliato, se è accolito di qualche potentato, se soggiace alla logica del caporalato, dove un uomo non è altro che le braccia di chi se lo vende. Un uomo nel Mezzogiorno che vive in quel sistema non serve a se stesso, non serve alla società poiché egli è solo un oggetto nelle mani di altri e può, al massimo, sopravvivere consolandosi con la mitezza del clima o con gli impasti di farina cotti a legna. Non ha e non può avere una coscienza sociale se non rinnega il sistema che lo sostiene e lo sfama, ne diventa parte e costruisce il suo immaginario di realizzazione in un ambiente in cui i valori sono alternativi e conflittuali con la cultura delle società liberali occidentali.
In questo contesto le scelte individuali e collettive sono deviate dall’appartenenza a un sistema che non premia la formazione, il merito o la competenza ma si basa, in sostanza, sull’appartenenza stessa e sulla violenza che quell’appartenenza è in grado di scatenare a tutela degli accoliti o affiliati. La reazione contro questo contesto sociale, che in alcune zone è maggioritario, di chi cresce adendo ai principi delle società moderne, privilegiando formazione e merito, è quella di allontanarsi geograficamente da quelle aree in cui la sua competenza ed il suo valore non hanno senso, poiché le logiche che consentono almeno la sopravvivenza sono del tutto diverse da ciò che ha imparato.
Allo stesso modo, chi invece è permeato della controcultura dell’affiliazione ad un sistema alternativo, ne diviene promotore passivo, ne assorbe le devianze e le fa proprie sino a riconoscersi solo in quella logica, rifiutando ogni ipotesi che scardini il sistema. Questi universi non sono paralleli e si intrecciano si accavallano, spesso si contorcono assieme fino a contaminarsi con l’effetto di rendere tutto grigio e indistinto, un magma di popolo che cerca di trovare in questa confusone la propria strada.
Da qui nasce anche la difficoltà di trovare soluzioni simmetriche a problemi che solo quantitativamente sembrano simili nei due sitemi, se si calcola il numero ufficiale di disoccupati o di percettori di reddito di cittadinanza, o lo stato del gli enti locali ne viene fuori una fotografia che solo parzialmente coglie lo stato reale del Mezzogiorno. Ciò che sfugge è quanta parte di ricchezza e di valore sono sommersi sotto la cenere delle statistiche e quante vite, da generazioni, si siano dipanate nel grigio di una sistema che li ha imbrigliati in una tradizione di scelte che costringe in tanti ad andar via ma obbliga tantissimi a restare poiché ormai asserviti a quel sistema.
La sempre più diffusa carenza di formazione di base, la scolarizzazione spesso insufficiente condannano intere famiglie e perpetuare nel loro vivere con metodi e sistemi che li tengono fuori da un contesto di reale emancipazione e crescita, un contesto che, solo nel denaro facile, anche se scarso, trova la sua ragion d’essere. Ed un individuo che si trova in questa spirale non trova strumenti che lo possano emancipare o un contesto ampio che sia pronto ad offrigli un’alternativa.
È questa la maggiore e vera sfida che questo tempo di mezzo, tra un crisi profonda ed un progetto di rinascita, che il Mezzogiorno lancia a chi governa. Aprire per tutti la possibilità di una vita dignitosa fatta di lavoro e merito e chiudere definitivamente tutte le strade grigie ed alternative che alimentano la distruzione del tessuto sociale e civile che ancora regge, con grande fatica, in alcune aree. Non fare compromessi è l’unica via. Partendo da risposta chiara. Un individuo serve al Mezzogiorno per ciò che può costruire con merito e competenza, non perché appartiene a qualcuno.
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