“Sporco bianco. Ti buco. Ti sparo”. E giù botte da orbi, senza uno straccio di motivo. Così, solo per il gusto. Non siamo nel Bronx ma a Trastevere. Due di notte, pieno di gente. Lo sporco bianco è un 25enne cameraman di Sky, che ha appena festeggiato il compleanno con la fidanzata, la sorella e due amici. Gli aggressori sono almeno una dozzina, forse venti. Hanno la pelle scura. “Stranieri”, si affrettano a classificarli quasi tutti i (pochi) media che hanno parlato. Tutto chiaro, no? Caso chiuso in cronaca locale e nel già saputo. Per i sinistri ci vuole più integrazione. Per i destri ci vogliono più respingimenti.
Ma i ragazzi parlano italiano benissimo, romanesco anzi. Sono italiani. Stranieri di origine, immigrati di seconda o terza generazione. Insomma, italiani. Cresciuti con i loro compagni nelle stesse scuole, negli stessi ambienti, negli stessi locali, in tranquilla promiscuità. Non sono una gang di immigrati, violenti per sfiga e razzisti per rivalsa. Questo sarebbe il “già saputo”. E allora perché la prepotenza gratuita? Perché il linguaggio razzista?
C’è tanto da cercare di capire, e certo non so dare una risposta. Solamente mi chiedo: e se la violenza fosse il modo per sentirsi un io e non un nessuno? Anzi, a dire meglio, un nulla? Se fosse per riempire con lo sfogo della propria bestialità un vuoto che le proposte del consumismo non hanno colmato? Domande cui non solo è difficile rispondere, e questo sarebbe ancora il meno. Ma che difficilmente vengono poste. Ci ha provato meritoriamente Gianluca Nicoletti in una puntata del suo “Melog” su Radio24: ma dai microfoni aperti agli ascoltatori sono arrivate quasi solo sentenze da pregiudizio, ottime per i leoni da tastiera dei social. Appunto: lo so già, e io sono già dalla parte giusta.
Essere dalla parte giusta non è difficile: basta essere un conformista (grande Gaber che ci ha fatto un’arguta canzone). Conformista come il fruttivendolo cecoslovacco descritto da Havel ne Il potere dei senza potere, quello che tra una cesta di rape e una cassa di mele metteva bene in vista il cartello con su scritto “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Che non c’entra nulla con l’ortofrutta, ma è il salvacondotto per non avere rogne. Il fruttivendolo si adegua, ma lo sa benissimo che è una finzione. Adesso non necessariamente è lo Stato totalitario a premerci: c’è un intero libero caravanserraglio politico-mediatico che provvede a creare l’onda, spesso convincendoci.
Com’è questa storia, che se giochi a calcio ma non ti inginocchi sei razzista? O se ti azzardi a eccepire su questo o quel punto del disegno di legge Zan sei omofobo?
Il trucco c’è, e per molti purtroppo non si vede. Funziona come messaggio subliminale. Il trucco può consistere nel far coincidere in maniera totalizzante e in qualche modo vincolante un valore di carattere universale, per esempio il rifiuto del razzismo, con una particolare forma o iniziativa che in quanto tale è opinabile e soggetta a libera e legittima scelta (giocatori che si inginocchiano per solidarizzare con il movimento antirazzista americano Black Lives Matter). Mi impressiona negativamente Saviano quando definisce “infame” il dibattito in materia, gente cui “fa schifo il buon esempio” quelli che non aderissero al gesto. Siamo alla nostalgia del cartello del verduraio?
Quanto al disegno di legge Zan, il giochino è più sporco. Si focalizza l’attenzione su un punto (il rispetto sacrosantamente dovuto a gay, lesbiche, e quant’altro) e si tace di altre parti del testo e sulle implicazioni di una legge che trasformerebbe una teoria opinabilissima (il gender invece del sesso) in una norma vincolante, comprensiva di conseguenze penali, con formulazioni che non escludono lesioni alla libertà di opinione. Qui la ricerca del consenso del Conformista puzza anche di imbroglio.
Dovremmo finirla con gli “ismi”, gli schemi dell’astrazione e della parte giusta, e riabilitare le domande della concreta realtà che ci dovrebbero interpellare davvero. Come i fatti di Trastevere, per dire. Quanto a me, rifiuto la tessera del fascio e la patente di sincero democratico. Soprattutto ricuso il “giudice” che si arrogasse il diritto di rilasciarmela o negarmela. Se proprio, prima mi spieghi il perché di quello “sporco bianco”, per esempio.
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