Non cessa di invecchiare l’industria italiana nel suo “parco macchine”: anzi ha l’età media più alta da quasi quarant’anni. Ma appare allo stesso tempo – in nicchie o filiere non marginali – più giovane, più rinnovata, più tech. Sono dati di lettura complessa quelli che emergono dalla sesta Ricerca mirata condotta dall’Ucimu, la centrale associativa dei produttori italiani di macchine utensili. Le cifre si riferiscono al 2019, ma non sono per questo meno significative: al contrario.
Da un lato l’invecchiamento progressivo del parco-macchine aggregato – registrato anche dal rapporto 2016 (su dati 2014) – è proseguito nei cinque anni successivi, fino a portare l’età media del parco da poco meno di 13 anni a quasi 14 anni e mezzo. Un dato che – a metà 2021 – è certamente aumentato ancora: forse degli interi 16 mesi trascorsi dall’inizio dell’emergenza Covid, caratterizzati da recessione e paralisi degli investimenti. Già a fine 2019, comunque, quasi metà del parco presentava un’età superiore a 20 anni (era solo il 27% cinque anni prima). Si accentua quindi come dato di fatto – in una porzione rilevante dell’industria nazionale e al netto dell’effetto-Covid – una lentezza estesa sul fronte degli investimenti regolari e serrati nel rinnovo delle tecnologie produttive. E continua a poter essere spiegato così – almeno in parte – il ristagno della produttività del lavoro che dall’inizio del ventunesimo secolo e dell’era-euro zavorra in modo strutturale l’Azienda-Paese. Le preoccupazioni di lungo periodo per la competitività di prodotto e di processo della manifattura italiana – guardata attraverso il prisma delle macchine utensili installate – restano quindi intatte: sebbene nel sesto rapporto Ucimu non manchino indicazioni di segno molto diverso e più positivo.
Anzitutto: la survey ha censito a parità di imprese (oltre 2.000 con più di 20 addetti) molte più macchine installate (371 mila, +21%) in meno fabbriche (circa 15.200, -3,7%) con una limatura nella forza lavoro totale (1,15 milioni, -3,1%). È evidente quindi che non tutte le imprese e i comparti dell’industria – soprattutto quella meccanica – sono rimasti “frenati” nell’investire. È chiaro che la manifattura è stata attraversata da dinamiche riorganizzative importanti, centrate sull’investimento in tecnologie avanzate. E questo è avvenuto negli anni seguiti al varo del Piano nazionale Industria 4.0 (poi “Transizione 4.0”). Il rapporto Ucimu ha fornito dunque un’ennesima conferma statistica di quanto le misure impostate nel 2017 al Mise da Carlo Calenda e mantenute dai governi successivi abbiano agito a stimolo effettivo degli investimenti in tecnologie produttive digitali ed ecosostenibili.
Digitalizzazione e transizione green sono oggi le due direttrici strategiche del Pnrr firmato da Mario Draghi e affidato principalmente ai ministri Vittorio Colao e Roberto Cingolani. Potranno manovrare le leve del Recovery Plan Ue, molto più robuste di quelle dei precedenti piani nazionali: Una parte degli investimenti li potranno pilotare direttamente dai loro ministeri: ma anche quelli avranno come fine ultimo risvegliare gli “spirits” degli imprenditori privati. E quelli più giovani – o con più voglia di tornare giovani – faranno da lepri a quelli che hanno peraltro avuto più di un motivo per tirare o tenere i propri remi in barca. Però il 2008 e il 2011 sono ormai lontani. Il 2020 è ancora vicinissimo e sembra ancora imbrigliare la fiducia. Ma il futuro comincia ora: e non è detto che la settima edizione della ricerca Ucimu sull’età del parco macchine (fra cinque anni) non possa registrare un’inversione di tendenza. La stessa che tutti attendono dal Pil italiano, europeo.
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