Leonardo è un giovane professore di arte ed è una delle migliaia di persone arrestate nelle proteste degli ultimi giorni a Cuba. Leonardo normalmente porta una croce al collo e quando è stato recluso in un centro di detenzione all’Avana per avere rivendicato “patria e vita” un poliziotto gli ha dato un manrovescio per strappargliela. Il professore non è coinvolto abitualmente in attività politiche, così come tanti altri che sono scesi nelle strade perché avevano fame di pane e libertà. Lo hanno sottoposto a un lungo interrogatorio di sei ore e ora è agli arresti domiciliari. Al telefono, con una comunicazione disturbata, chiede di pregare per le madri e le nonne che non hanno notizie dei loro figli incarcerati. Sono migliaia.

La storia di Leonardo è una storia che si ripete nelle mobilitazioni contro il regime castrista in questo mese di luglio, le più importanti dal ’62, da quando Fidel fece trionfare la rivoluzione. La ricerca di precedenti porta a compararle con quella del Maleconazo del 1994, ma quella fu una vampata momentanea, con un Castro ancora capace di frenare un’insurrezione. Il Castro che ancora potrebbe scendere in strada per frenare le manifestazioni, Raúl, si è ritirato, cedendo i suoi poteri, e ha 90 anni. 

Leonardo si è unito alle proteste in una Cuba dove si vive una carestia nascosta. Leonardo, come tutti i cubani, mangia male e poco e per ottenere cibo deve fare lunghe code. Il Covid ha messo in evidenza le profonde debolezze economiche e politiche del castrismo, che resta in piedi grazie a un raffinato sistema di controllo e repressione. L’economia cubana è stagnante da quindici anni, il suo sistema di pianificazione centralizzata è disastroso, la sua inefficienza si vede chiaramente nella produzione agricola. A differenza di quanto succede in altri regimi comunisti, come quello vietnamita, a chi lavora nei campi non si lascia decidere cosa seminare, a chi vendere e a che prezzi. Le riforme che Raúl Castro approvò timidamente tra il 2007 e il 2017 per aprire l’economia al mercato sono state troppo fiacche. Così Cuba dipende dal denaro venezuelano, dal turismo e dalla vendita dei servizi internazionali dei suoi medici.

I trasferimenti venezuelani, che fino a non molto tempo fa rappresentavano il 22% del Pil del Paese, si sono ridotti considerevolmente. La Russia non è in condizioni di fornire un supporto economico e la Cina si rifiuta di farlo, se non attraverso prestiti con alti interessi. Le entrate del turismo, a causa delle chiusure per la pandemia, sono decisamente calate e i medici cubani hanno perso molti contratti. Il blocco rigido di Trump causa molto danno, ma non è certamente l’unica spiegazione per le difficoltà del Paese. Logica vorrebbe che Biden cambiasse la politica statunitense verso il Paese: il Presidente Democratico sa che la politica delle sanzioni non ha conseguenze politiche, ma fa soffrire molto la popolazione. Ora, tuttavia, dopo la repressione degli ultimi giorni, un loro alleggerimento è più difficile. Un primo passo sarebbe stata l’autorizzazione a far arrivare a Cuba le rimesse dei cubani che vivono all’estero.

Leonardo ha visto negli ultimi mesi crollare il mito del sistema sanitario cubano. Le misure di contenimento della pandemia sono state prese con ritardo, gli ospedali e i centri sanitari rurali non avevano sufficienti letti, mancano strumenti e medicine. Cuba ha bisogno di una sanità diversa, che non viva sulle glorie del passato, così come ha bisogno degli aiuti degli organismi finanziari internazionali, che non accetta. Ha bisogno di elasticità per gli investimenti stranieri, di una fiscalità per il pur ridotto settore privato che non sia asfissiante, di liquidità per le piccole imprese, di sussidi per i disoccupati e protezione per i più poveri, che sono molti.

Ha bisogno, soprattutto, di iniziare un dialogo vero, come continua a chiedere la Chiesa cattolica, per dar vita a una transizione. Da decenni il regime continua a rifiutare qualsiasi cambiamento, ma il mondo sta cambiando molto e rapidamente. E, dopo l’VIII Congresso del Partito Comunista celebrato lo scorso aprile, non rimane nessun Castro in attività.

Il castrismo, come si è visto in questo mese, è terrorizzato da internet e, probabilmente, quel che accadrà in futuro dipenderà molto dalla sua capacità di controllarlo, come fecero i Paesi arabi dopo le loro primavere. C’è molta gente a Cuba che rifiuta il sinistro slogan della rivoluzione, Patria o morte, e che invece chiede Patria e vita.

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