Cosa deve garantire un servizio sanitario ai suoi cittadini? Non occorre essere esperti per rendersi conto che nazioni diverse offrono garanzie diverse e che queste garanzie dipendono dalle decisioni attorno ai valori che sono alla base dell’impostazione di ogni servizio sanitario.
Una discussione in merito sarebbe necessaria (non lo faremo in queste note): basta pensare alle drammatiche scelte che si sono trovati di fronte i sanitari di alcuni territori nei periodi più critici della pandemia in corso, o al dibattito recente anche su queste colonne sull’obbligo (o meno) della vaccinazione ed al contrasto tra libertà individuale e bene comune, o ancora i casi meno recenti della cosiddetta “cura Di Bella” e della cura con il metodo “Stamina”.
Senza perdere in generalità e valore possiamo però ragionare sulla risposta che ha dato il nostro Servizio sanitario nazionale alle esigenze dei cittadini e come questa risposta si sta realizzando in pratica nelle diverse regioni.
Il Ssn italiano “assicura, attraverso risorse pubbliche … i livelli essenziali e uniformi di assistenza … nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse. L’individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza … è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale” (Dl 19 giugno 1999, n. 229: art.1, co. 2 e 3). I livelli essenziali e uniformi di assistenza, gergalmente identificati con la sigla Lea, sono poi stati definiti in dettaglio con il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 12 gennaio 2017.
Cosa dice a noi cittadini questa costruzione legislativa? Proviamo a tradurre.
Che cosa viene assicurato? Prestazioni e servizi (elencati con dettaglio nel Dpcm 12 gen. 2017) che dovrebbero avere i requisiti indicati (rispondere ai principi di: dignità della persona, bisogno di salute, equità nell’accesso, qualità delle cure, appropriatezza, economicità). Per esempio: i ricoveri ospedalieri, un elenco definito di prestazioni ambulatoriali e di farmaci, un insieme di attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, l’emergenza sanitaria territoriale (118), l’assistenza protesica, l’assistenza termale, l’assistenza sociosanitaria domiciliare e territoriale, residenziale e semiresidenziale, e così via.
Con risorse pubbliche, ma contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Ssn. Cioè: paga lo Stato (con le risorse raccolte attraverso la fiscalità generale, cioè le tasse) ma con un vincolo: la quantità di risorse che la politica decide di mettere a disposizione del Ssn (in realtà per le prestazioni ambulatoriali, per i consumi farmaceutici, per alcuni servizi socio-sanitari, etc., c’è anche una quota di partecipazione dei cittadini).
Bello. In sintesi: tutto, (quasi tutto) gratis, a tutti. Ma è proprio così? A dire il vero quello che sembra “tutto” in realtà non è così. Qualche esempio. La gran parte delle cure dentistiche è esclusa dai Lea; le medicine cosiddette alternative (agopuntura, ayurvedica, omeopatia, naturopatia, medicina cinese e orientale…) sono escluse, e così via: se ne deve dedurre che non rispettano i principi che portano all’essenzialità o che non ci sono i soldi per pagarle? Ma la domanda vale anche al contrario: siamo proprio sicuri che tutto quello che si eroga in ospedale, tutte le prestazioni ambulatoriali che sono comprese in elenco, e così tutti i farmaci del nomenclatore rispondano ai principi che portano all’essenzialità o meritino di essere finanziate con le tasse? Abbiamo molti dubbi in proposito.
Il decreto che definisce i Lea (e cioè le prestazioni ed i servizi considerati “essenziali”) dà solo una descrizione qualitativa di ciò che si deve erogare; è sufficiente? Se, ad esempio, in una regione il tasso di accertamenti specialistici è 104 per 1.000 (Abruzzo) ed in un’altra è 55 (Trentino); se il tasso di posti letto residenziali al Nord è 966 per 100.000 ed al Sud è 314; se il tasso di ospedalizzazione è 145 per 1.000 in Emilia-Romagna e 84 in Calabria (e la lista potrebbe continuare all’infinito: sono dati Istat dell’anno più recente disponibile); possiamo dire che stiamo assicurando prestazioni e servizi essenziali ed uniformi? Se prima avevamo molti dubbi, dopo questi numeri abbiamo invece molte certezze: la pura lista di ciò che è elencato nei Lea non offre alcuna garanzia che nei territori del nostro paese venga erogato in maniera uniforme ciò che è ritenuto essenziale. In breve: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Ma non basta. Vogliamo parlare dell’enorme migrazione da Sud a Nord alla ricerca di prestazioni e servizi (soprattutto ospedalieri) che, per motivi che è facile immaginare, non si trovano all’interno del proprio territorio? E perché non parlare allora dei lunghi tempi di attesa per il ricevimento di alcune prestazioni e servizi “essenziali” che costringono il cittadino a cercare soddisfazione al di fuori del Ssn (se non addirittura all’estero)?
C’è un altro interessante esempio su cui vale la pena di riflettere. Se una regione si trova in condizioni di equilibrio economico-finanziario può decidere di ampliare l’assistenza garantita ai propri cittadini residenti destinando ulteriori risorse ai cosiddetti “livelli ulteriori”, prestazioni e servizi che vanno ad aggiungersi ai livelli essenziali. Alla faccia della uniformità e della essenzialità.
Chiudiamo con una domanda ovvia: c’è qualcuno che controlla e verifica? Certo, dice la teoria (e la legge). Da una parte c’è il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Comitato Lea) e dall’altra c’è un cosiddetto “Sistema di garanzia”, cioè uno strumento (una metodologia) per la valutazione. L’ultima verifica completa e disponibile sugli adempimenti Lea è relativa all’anno 2016. E se una Regione non risulta adempiente cosa succede? Non le viene assegnata la quota premiale di finanziamento, una quota talmente irrilevante che da quando è stato attivato questo sistema di valutazione (ormai sono più di 15 anni) le Regioni adempienti e quelle inadempienti sono praticamente sempre le stesse.
È evidente che qualcosa non funziona. Auguriamoci che l’enorme stress cui è stato sottoposto il Ssn a causa della pandemia e le opportunità offerte dal Pnrr aiutino anche a riflettere (tra altro) sulla definizione ed erogazione dei Livelli essenziali di assistenza.
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