Mezzogiorno, lo Stato assente e la violenza

Troppi gli episodi di violenza che accadono al Sud. Lo Stato, come gli agenti del carcere di S. Maria Capua Vetere, reagisce così quando è sconfitto

Gli occhi nuovi che guardano nelle celle e nei corridoi ingombri di uomini percossi, umiliati e privati di ogni diritto da chi i diritti dovrebbe proteggerli, non solo quelli elettronici, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma quelli di un pezzo di società che scopre quanto la violenza sia endemica nella categoria del Mezzogiorno non appena si scalfisce la scorza di borghese disinteresse per il popolo dolente.

I racconti truci di La Capria, di Norman Lewis o di Saviano prendono forma in quelle ombre violente e in quei corpi picchiati che, come fantasmi del passato, si appropriano del nostro oggi. La violenza esce dai racconti e diventa cronaca sempre di più, con le immagini che  raccontano di agguati e morti, di divise che fanno ordine con il terrore.

Il Mezzogiorno vive immerso nella violenza criminale e predatoria molto di più di quello che le statistiche raccontano. Medici aggrediti nei pronto soccorso degli ospedali, risse da strada, agguati mortali ripresi dalle telecamere e telefonini che immortalano gesti violenti ostentati come simbolo di giustizia, una giustizia fai da te, ma considerata efficace.

Avere ciò che si vuole, dall’attenzione di un dottore al nuovo cellulare, prescindendo da ogni regola. Usare la violenza è un modo per affermare che si può ottenere qualcosa solo con la forza e con l’aggressione, poiché altre strade non esistono. Questo è il modo di affrontare la quotidianità di pezzi larghi della società meridionale. Persone che, còlte dalle riprese, si devono poi giustificare per ribadire che non hanno trovato, poverette, altra strada per il propio bisogno se non dare sfogo alla violenza.

Certo le strade del Mezzogiorno non sono più insanguinate quotidianamente come ai tempi delle guerre di mafia o di camorra e sempre più rare sono le mattanze di massa o gli agguati eclatanti, ma si percepisce da questo contesto come la missione dello Stato sia sempre più in crisi. Le regole della democrazia liberale sono state create proprio per espungere la violenza dai rapporti tra consociati ed attribuirla in esclusiva alla Stato, che dovrebbe esercitarla entro limiti e con metodi tali da garantire che questo ultimo rimedio sia comunque funzionale all’applicazione delle regole della convivenza civile e agli scopi ultimi che la Costituzione impone. Il presupposto è la capacità dello Stato di offrire un ecosistema normativo e regolatorio potente ed efficace in cui la violenza diviene dannosa ed inutile e ciascuno può ottenere, grazie alle leggi ed agli apparati pubblici, un percorso di vita in cui i diritti sono garantiti.

Senonché quando lo Stato si disinteressa di interi territori, li mette in una condizione di sudditanza e non offre i suoi servizi in maniera efficace, la violenza torna così ad essere un metodo per ottenere ciò che si ritiene di dover avere come diritto. È un intero sistema sociale che approfitta dell’assenza dello Stato per farsi violento.

In questo contesto la violenza dello Stato, con in suoi giusti limiti e le sue giuste garanzie, rischia di apparire insufficiente a chi deve esercitare determinate funzioni. Di fronte ad un contesto in cui le regole sono diffusamente violate, in cui un antisistema propone la propria violenza per soddisfare i bisogni di chi vi aderisce, lo Stato con le sue regole può apparire debole.

La realtà è che aver lasciato che il Mezzogiorno vivesse in condizioni di sottofinanziamento strutturale, annullando servizi sociali e politiche di inclusione, aver accettato un Paese a due velocità, ha creato un sistema di valori alternativo in cui lo Stato si sente insufficiente a fronteggiare le reazioni violente di chi in questo contesto si è sentito legittimato a fare della violenza il proprio monopolio.

Quando questi mondi si confrontano, come tra le mura di un carcere, può accadere che la Costituzione muoia, che le regole democratiche e borghesi siano seppellite che il conflitto si sposti su di un livello che lo Stato non può e non deve tollerare.

Ma lo Stato assente, lo Stato lontano dal Mezzogiorno che ha creato questo deserto senza leggi non può chiamarsi fuori. Ha nutrito con la sua assenza la violenza, ha dato forza ad un sistema pre-civile estraneo alla democrazia che si pretende di combattere senza avere la consapevolezza che non sono quegli uomini in divisa nelle carceri la causa di scandalo, ma la volontà di disinteresse, la supponente, arrogante assenza di attenzione per il Mezzogiorno ad aver provocato un disastro civile che solo gli occhi elettronici hanno potuto testimoniare nella sua potenza di sistema alternativo.

Rimediare non sarà solo compito della Procura per accertare le responsabilità di ciascuno. Non basta un’amnistia o un allentamento delle condizioni dei detenuti.

Lo Stato deve guardare con occhi nuovi alla società del Mezzogiorno e farsi carico di avviare un’opera di ripristino dei diritti dei cittadini fuori e dentro le carceri, usando tutta la sua forza e tutte le sue risorse, aprendo gli occhi e guardano le immagini di quella violenza che raccontano un disastro sociale meglio di mille stringhe di Excel infarcite di dati.

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