La giostra delle nomine nella participate pubbliche si concluderà a breve, nel caldo mese di agosto, quando il Governo avrà indicato le circa 500 persone che andranno a coprire incarichi di vertice in partecipate e controllate pubbliche di primo piano. Rai, Ferrovie e Cdp sono i tre gioielli che hanno già nuovi padroni e a seguire verranno le loro controllate e partecipate assieme a molti enti pubblici, tra cui l’Autorità per la concorrenza, che avranno presto organigrammi diversi.

A rammentare le feroci polemiche di qualche anno fa, quando ogni nomina pareva essenziale per il futuro del Paese, sembra di vivere un momento di concordia idilliaca tra Draghi e la sua maggioranza.

Le nomine di vertice, infatti, Draghi le ha rivendicate per sé ed ha lasciato il contorno ai partiti.

Tutto segue la logica del Governo che decide e poi condivide, stabilendo, grazie ai paletti del Pnrr, quale sia il punto di mediazione accettabile ed imponendolo ai partiti che possono solo dire sì o no. La strategia funziona e la sua applicazione su materie delicatissime, come la giustizia, testimonia che il metodo è proficuo e fecondo. Se così si riuscirà a cambiare il quadro normativo bloccato da decenni, ben venga.

Sulle partecipate, però, è mancata ogni minima attenzione a chiarire con quale logica siano state fatte le scelte. È prevalsa la valutazione del curriculum e soprattutto la scelta operata da Draghi. Ma non si è compreso per fare cosa.

Eppure aziende strategiche come Fs ed il principale polmone finanziario del Paese, la Cdp, dovrebbero chiarire quali sono gli obiettivi dei prossimi anni e soprattutto in che modo intendono attuare, direttamente, o indirettamente, le strategie di coesione territoriale e sociale che il Pnrr ha fissato. Dopo le avventure del Fondo strategico italiano ed il programma, irrealizzato, di una nuova Iri che aiutasse le imprese in crisi e le aree depresse del Mezzogiorno, la massa di denaro nelle casse di Cdp dovrà trovare un suo scopo ed una sua utilità che non sia quella di salvare aziende parastatali decotte e i loro manager, come accaduto per Ansaldo Energia o Saipem.

Su questo non è dato sapere se esista una strategia di medio termine che possa intercettare il vero fabbisogno del Paese, ovvero portare il tasso di occupazione nel Mezzogiorno agli stessi livelli di quelli del Nord con una politica di investimenti diretta a privilegiare aree depresse. Esigenza richiamata dallo Svimez e per attuare la quale ci si affida al laissez faire piuttosto che a politiche industriali che possano almeno indirizzare lo sviluppo.

Le Ferrovie, poi, sono il ganglio vitale per la mobilità delle merci e per la gestione dei flussi sulle direttrici del commercio e del turismo. Quai siano i piani e come si intenda attuarli è un passaggio che andrebbe discusso pubblicamente e su cui verificare l’impatto di eventuali strategie sul sistema di circolazione delle merci per comprendere come questo meccanismo possa aiutare lo sviluppo delle economie del Mezzogiorno. Le Ferrovie, infatti, hanno in dote circa 30 miliardi da investire su progetti che dovrebbero dare impulso soprattutto alle economie del meridione. Ma tempi, modi e dettagli sono ancora ignoti.

Il metodo Draghi pare essere, in questo caso, molto centrato sul rapporto diretto del presidente del Consiglio con le personalità di punta nominate piuttosto che su concreti progetti o programmi da affidare a chi, dopo una verifica, sia in grado di realizzare i piani.

Non è questione da poco, visto che dal dibattito pubblico è sparita ogni discussione sul ruolo e la funzione delle partecipate pubbliche e sul loro contributo allo sviluppo del Paese in fase delicata con quelle post pandemica. Più volte si è lamentato che gli investimenti nel Mezzogiorno sono stati a dir poco insistenti e soprattuto la scarsità di risorse destinata alla ricerca da parte delle partecipate che ben dovrebbero, più di altre società, essere partner tecnologici di primissimo livello di atenei e centri di ricerca.

Soprattutto, la panificazione di investimenti mirati nel Mezzogiorno favorirebbe prosperità e crescita dei terrieri e delle persone seguendo un modello da tutti auspicato e potrebbe offrire occupazione di qualità in aree che soffrono ancora l’abbandono dei talenti.

Draghi ha già dato segnali di attenzione sulle politiche industriali, come sul tema della Gigafactory della Stellantis che sorgerà nel Mezzogiorno per dare respiro ad aree economicamente depresse.

Potrebbe, quindi, sollecitare i suoi uomini nelle partecipate ad avere una maggiore chiarezza sui progetti da attuare ed una maggiore propensione ad investire in ricerca e nel Mezzogiorno, indicando come priorità per le partecipiate pubbliche queste linee di sviluppo.

Gli Ad nominati dal Governo non dovrebbero rendere conto del loro ruolo producendo utili a tutti i costi da distribuire al Tesoro. Ma dovrebbero rammentare che investire in ricerca e nelle aree depresse rende il Paese molto più ricco sia in termini di crescita del Pil che di evoluzione capitale umano.

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