Nell’ultimo anno e mezzo, a causa della pandemia, si è parlato spesso delle professioni sanitarie con ammirazione ed enfasi. Ben presto, tuttavia, tali emozioni sono scemate, perché non hanno portato ad una vera conoscenza di chi sia un infermiere, un medico, un professionista sanitario.
Dal punto di vista dei professionisti sono tornati a presentarsi i problemi: la carenza di risorse, la stanchezza, il rammarico per le aspettative deluse.
Di fronte alle tante difficoltà, può essere interessante tornare all’origine, ricomprendere la professione dell’infermiere attraverso la sua storia, come propone il libro Il solco dell’assistenza (Bonomo, 2021). Il filo rosso che guida il percorso è quello dell’assistenza, ossia dell’aiuto dato da un essere umano ad un altro essere umano in quei momenti della vita in cui non si riesce a svolgere da soli gli atti semplici ma vitali quali l’alimentarsi, il muoversi, il lavarsi, il comunicare a parole. Tale condizione è quella di un neonato oppure può presentarsi in una persona molto anziana, in un ammalato, in una persona che sta per morire. L’assistenza infatti, fin dalle origini, non ha avuto come obiettivo primario il guarire, bensì quello di confortare, prendersi cura, servire nei bisogni elementari. Questa scoperta dell’essere bisognosi evoca un bisogno più profondo; anche colui che assiste (assistere deriva da verbo tardo latino che significa “stare presso”) deve presentire la vastità del bisogno per poter essere all’altezza del suo compito.
La presenza dell’assistenza che si snoda nei secoli è identificabile in segni, che più spesso sono rinvenibili quando sono state poste in atto forme organizzate, quali ad esempio i valetudinari dell’epoca romana o le diaconie e gli xenodochi dei primi secoli dell’era cristiana.
Man mano si scopre un’evoluzione per cui le azioni di assistenza che vengono messe in atto sulla base del buon senso assumono regole e modalità specifiche. Anche la relazione con la persona assistita, che era connotata ora da affetto familiare, ora da dovere servile, a volte da brutalità, comincia ad assumere modalità specifiche che sono fondate sul riconoscimento della dignità della persona, ma diventano proprie di un approccio particolare. Dall’assistenza nasce l’assistenza infermieristica.
Tutto questo si manifesta prima che siano identificabili le caratteristiche sociologiche di una professione, quali la necessità di un titolo di studio, l’onorario, l’emanazione di leggi che rendano esclusivo il campo di competenza.
Camillo de Lellis facendo una scuola per i novizi in cui pone a tema le tecniche ma anche la comunicazione con il malato, dimostra di aver chiaro che occorre imparare per dare assistenza; non basta il buon senso e nemmeno la carità da sola. Occorre imparare, occorrono maestri.
Camillo esplicita anche un metodo, che parte dall’identificazione di bisogni diversi nelle diverse persone assistite e quindi indica la necessità di dare risposte appropriate ad ogni singolo. Ad esempio, la sua disposizione che si cambiasse la biancheria del letto a giudizio dell’assistente, con la frequenza richiesta dal bisogno della persona assistita, rappresentò una vera e propria rivoluzione rispetto alla prassi in atto di cambiare la biancheria a giorni predeterminati. Egli dovette sempre combattere con le amministrazioni degli ospedali per ottenere questo.
Il santo infermiere abruzzese dà anche indicazioni che oggi definiamo come deontologia professionale; ad esempio egli pone nelle regole che “si faccia tutto con volontà delli Infermi”, ossia con il consenso della persona assistita. Tutto questo nel millecinquecento.
E l’assistenza infermieristica giunge fino ai giorni nostri, con molte sfide che sono ancora aperte tanto nel campo della formazione come in quello dell’esercizio e dell’organizzazione.
Il libro propone agli studenti di conoscere la storia della professione per comprendere chi è l’infermiere, per dare fondamento all’identità professionale. Non è sufficiente infatti imparare nozioni e tecniche. È necessario un lavoro per l’identificazione nello spirito e nell’ideale di una professione. Uno degli strumenti per questo scopo è percorrere la storia, prendere consapevolezza delle proprie radici, dei valori salvaguardati e tramandati nei secoli.
È una proposta anche per gli altri professionisti sanitari, come ci attesta un’amica medico che apprezza l’occasione di riflessione come invito a riconquistare l’orizzonte del nostro lavoro, l’importanza del “mettere la mano sul paziente”, il senso dell’accoglienza dell’altro; diversamente si attua una medicina asettica dove l’umano è un pallido ricordo.
È una proposta anche per tutte le persone che prima o poi nella vita si troveranno a dare assistenza ad un parente, ad un amico e che prima o poi nella vita incontreranno un infermiere che li assiste.
Il senso delle nostre professioni sanitarie deve essere continuamente riconquistato per poter reagire in modo adeguato alle scelte piccole e grandi che la realtà ci pone di fronte ogni giorno.
Marina Negri
Sandra Montalti
Cristiana Forni
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