Meeting 2022, una passione per l’uomo

"Il cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l'uomo": questa frase di don Giussani del 1985 ispira il titolo del prossimo Meeting

“Il cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l’uomo”: è questa frase di don Giussani, tratta dall’intervento tenuto proprio al Meeting nel 1985 a ispirare il titolo della prossima edizione, la numero 43: “Una passione per l’uomo”. Nel 1922 ricorrono i 100 anni dalla nascita dello stesso don Giussani e quindi è stato naturale attingere dal suo “genio” per fissare l’orizzonte di lavoro e riflessione per il Meeting che verrà. Affermare che il cristianesimo nasce come passione per l’uomo riporta ad una concretezza e soprattutto ad una verificabilità che fa del cristianesimo non un’opzione religiosa tra le altre, ma un’esperienza incontrabile, tangibile; cioè un’evidenza in cammino dentro la storia che non si fa alibi della relatività e della finitezza della storia. Insomma, l’opposto di un qualcosa che vuole imporsi come una verità a prescindere.

“L’uomo non è un’idea” dice il dottor Bernard Rieux, meraviglioso protagonista della Peste di Albert Camus (uno scrittore certamente mosso da una grande e inquieta passione per l’uomo). Lo dice rivolgendosi all’amico giornalista Raymond Rambert che a sorpresa invece di scegliere l’opportunità di rifugiarsi in Francia si offre di restare in Algeria come volontario nella battaglia contro la terribile epidemia. “L’uomo non è un’idea”: la passione nei suoi confronti non può quindi accontentarsi di stare al livello di difesa di valori di principio. La passione domanda una continua implicazione su un piano di concretezza che va dal gesto più semplice all’azione di un’intelligenza orientata al bene e capace di trovare risposte alla vita quotidiana delle persone.

“L’uomo non è un’idea”, come testimonia don Giussani stesso in quel suo intervento al Meeting del 1985, quando aveva messo in fila i gesti di attenzione da parte di Gesù – a volte, ma non necessariamente, dei miracoli – verso le persone semplici che gli venivano incontro. Commentava don Giussani: “Così è sorto nel mondo il senso del rispetto, della venerazione, dell’attaccamento, dell’amore, della fiducia, della responsabilità verso la persona. La persona: l’amore all’uomo. Altrimenti non si può capire il cristianesimo. Ma forse noi stessi non lo comprendiamo, pur tentando di viverlo, perché non partecipiamo di questa sua origine”. Impressionante nella sua chiarezza questa sottolineatura: partecipare dell’origine del cristianesimo significa condividere questo amore all’uomo, senza precondizioni.

Un titolo come quello del prossimo Meeting è naturalmente sempre attuale. Ma è ancor più attuale per la stagione storica che stiamo vivendo, dove nonostante la dedizione e il quotidiano eroismo di tante persone semplici che abbiamo sperimentato in mesi lunghi e difficili, prevale al fondo una cultura che porta le persone a “considerare la vita degli altri un nulla e il proprio cuore nient’altro che un muscolo” (profezia di Pier Paolo Pasolini: anche per lui nel 1922 saranno 100 anni dalla nascita…).

Il mondo di oggi ha bisogno di un cristianesimo che, per riprendere le parole di PPP, “non abbia paura di avere un cuore”, anche se avere un cuore comporta fare i conti con un’incessante inquietudine. Ma solo da cuori inquieti e “ardenti”, consapevoli del proprio inestinguibile bisogno di infinito, può scaturire una “passione per l’uomo”. Del resto don Giussani non aveva forse chiuso quell’intervento con un augurio difficile da archiviare, “Io auguro a me e a voi di non stare mai tranquilli, mai più tranquilli”?

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