Appunti per la ripresa

Mettere da parte quel che divide come il regionalismo selvaggio e lavorare assieme per la coesione del Paese sono obbiettivi che i cittadini condividono

La ripresa post ferie apre uno scenario inedito per il Paese. La maggioranza amplissima che regge Draghi esce coesa dalla crisi afgana e dalle dimissioni di Durigon. Due temi che avrebbero spaccato con facilità compagini sulla carta più omogenee e che invece hanno alla fine cementato i rapporti. Nessun attacco brutale tra le forze politiche al governo e solo qualche schermaglia di posizionamento tra le varie anime, ognuna impegnata in campagna elettorale per le amministrative, e perciò necessariamente portate alla propaganda.

Ma l’ordine di scuderia reale, ovvero avanti così fino al 2023, sembra reggere e la guida di Draghi è solida. Il Pnrr sta arrivando alla sua fase più delicata e nelle prossime settimane le squadre di attuatori selezionati da Palazzo Chigi inizieranno a mettere mano ai progetti per dare esecuzione alla nuova visione del Paese. Il barometro volge sul bello stabile per Draghi e neppure sorprese alle amministrative sembrano in grado di sciogliere la maggioranza.

Figlio di questo clima di sostanziale concordia è la ripresa di temi già discussi in questa legislatura, ma con atteggiamenti nuovi. Tra tutti quello dell’asseto dei poteri delle Regioni e della devoluzione di parte dei servizi, e dei relativi introiti, dallo Stato ai Governatori.

La lezione della pandemia, come ha sostenuto Sabino Cassese al Meeting di Rimini, è che la necessità di decisioni unitarie per tutto il territorio nazionale su temi delicati come la sanità è ormai un dato acquisito. Sia il Governo che le Regioni marciano sul binario che porta a evitare fughe in avanti solitarie di singoli Governatori, che si sentono, è giusto dirlo, anche maggiormente ascoltati dal Governo. L’equilibrio si è spostato verso la centralità dello Stato, che non può che essere l’ultimo decisore su questioni rilevanti come la salute dei cittadini.  Ma lo stesso vale per il lavoro, per la scuola e per la gestione delle crisi aziendali, che sono e restano ambiti del tutto ingestibili se non da una prospettiva unitaria.

Ne discende che il tagliando al regionalismo, invocato da Cassese, e la posizione della Gelmini, aperta ad un regionalismo controllato e ridotto nella portata rispetto alle bozze del 2018, appaiono posizioni di buon senso che neppure le Regioni storicamente più votate ad un autonomismo selvaggio riescono a contrastare. Di fatto si punta a dare più competenze alle Regioni ma senza snaturare il rapporto con lo Stato. In pratica la forza intrinsecamente disgregatrice delle proposte autonomiste più spinte è ormai evidente ai decisori politici che la ritengono un pericolo, pur senza dirlo, per il rilancio del Paese in questa fase.

Al contempo, le politiche di coesione territoriale tra il Mezzogiorno e il Nord, che restano la spina dorsale del Pnrr e la reale motivazione per giustificare i tanti soldi in più ricevuti dall’Italia rispetto a tutti gli altri Paesi, sono in pausa tecnica. Solo il complemento delle assunzioni degli attuatori, procedura che pare sia agli sgoccioli, porterà all’avvio delle fasi esecutive. C’è ancora da soffrire. E non per poco.

Le insufficienze strutturali sono sempre più evidenti e penalizzanti, al punto che ormai su una dorsale essenziale per il trasporto di gomma come la Napoli-Bari in pratica si viaggia su una sola corsia per quasi duecento chilometri. Le grandi città del Mezzogiorno sono in condizioni manutentive da emergenza perenne. Servizi azzerati, strade colabrodo, carenza di ogni possibile programmazione per insufficienza dei bilanci. Questo acuisce la crisi e rende ancor più penoso il tempo che manca. Inoltre la strutturale mancanza di investimenti strutturali e la crescita insufficiente del Mezzogiorno acuiscono il ricorso al Reddito di cittadinanza, che ancora non ha mostrato alcuna efficacia per le politiche attive del lavoro e che ogni giorno rivela opacità tra i fruitori che vanno eliminate. Inoltre nella partita per lo sviluppo il Governo ancora non ha trovato soluzioni ampie e definitive per le crisi simbolo del Mezzogiorno, dall’Ilva di Taranto agli ex produttori di lavatrici del napoletano. Mentre le strategie per favorire gli insediamenti, dalle Zes (le Zone Economiche Speciali) alle norme per evitare la delocalizzazione, sono ancora nelle mani di Carfagna e di Giorgetti, che dovrebbero chiudere questa fase di incertezza e studio dei problemi e iniziare a dare soluzioni.

È forse questo un ulteriore punto di prova della coesione del Governo oltre la leadership di Draghi. Se i suoi ministri non avranno bisogno di lui per fare assieme squadra e mostrare soluzioni condivise ai problemi, avremo forse assistito alla nascita di una vera classe dirigente che sappia decidere e governare nell’interesse del Paese e non per costruire solo delle storie da comunicare via social in prossimità delle elezioni.

Mettere da parte quel che divide come il regionalismo selvaggio e lavorare assieme per la coesione economica e sociale del Paese appaiono obbiettivi che i cittadini condividono dopo la crisi pandemica e perciò anche alla portata del Paese, tramite la sua classe dirigente.  La ripresa ci dirà tanto nelle prossime settimane della capacità dei ministri di dare seguito alla dote che Draghi ci sta portando con le sue mosse. E se la sua leadership sia stata anche un esempio oltre che una risorsa.

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