Questa volta non per una questione ideologica, religiosa o di genere, ma negli ultimi giorni il mondo si è diviso: da una parte, quelli che hanno compreso la decisione di Simone Biles di non partecipare, per motivi di salute mentale, alla quasi totalità delle gare delle Olimpiadi. Dall’altra, quelli che hanno scosso la testa infastiditi perché non c’erano più i vecchi eroi, uomini e donne capaci di sopportare l’ansia. Di fatto, c’è chi ha visto nel passo indietro della Biles un ulteriore sintomo di un mondo incapace di grandezza, quella grandezza che richiede un controllo rigido del corpo e della mente.

Biles si è così trasformata in un dilemma e nell’ultima settimana ci siamo visti obbligati a scegliere tra la comprensione, compresa l’esaltazione di chi è capace di esibire la sua vulnerabilità e il suo limite, e il rifiuto di un’eroina fallita, incapace di controllare le sue paure. Come succede in altri casi, dietro la faccenda ci sono molti miliardi di dollari.

I giochi di Tokyo 2020, spostati all’estate 2021, si presentavano come un momento di catarsi. I superuomini olimpici potevano, in qualche modo, vincere lo stato di prostrazione del pianeta. Non ci sarebbe stato Phelps in acqua, ma vi era Biles in aria. Con le sue trenta medaglie mondiali e olimpiche, l’atleta statunitense avrebbe mostrato a un mondo prostrato che era ancora possibile fare cose quasi impossibili. Quando Biles si sollevava nell’aria per fare un doppio salto mortale all’indietro, seguito da una tripla piroetta, il mondo non era più un punto perso nello spazio infinito. L’esistenza, questo filo di lama tra due nulla, pareva aver un senso. Biles allontanava la vita intrappolata nel fumo e nell’irrilevanza, la sensazione permanente di essere una marionetta mossa da una mano senza pietà, da un destino senza tenerezza.

Per più di un anno e mezzo, abbiamo avuto più di un segnale della chiara decadenza in cui versava il mondo. I segni di un’inevitabile decomposizione erano evidenti e siamo stati tentati di pensare che il male non era il virus scappato da Wuhan, né le successive ondate, né la cattiva gestione dei governi, né le resistenze verso i vaccini, né la loro diseguale distribuzione sul pianeta, né la globalizzazione e neanche il tradimento dei valori occidentali. Il male era in noi, nella nostra condizione finita, nel fatto che eravamo tempo e storia. Il male era l’esistenza stessa, fino a quando Biles si elevava in aria e per qualche frazione di secondo sembrava che l’impossibile fosse possibile.

Tuttavia, l’illusione di aver superato il limite si è subito rotta in mille pezzi. Biles non è riuscita a reggere stoicamente la pressione: mentre si allenava nei suoi twisties, nelle sue piroette, perdeva il senso del tempo e dello spazio e, poi, atterrava come poteva. Non sappiamo se all’inizio è stata la mancanza di fiducia e poi la perdita del senso di orientamento, o il contrario. Non importa. Il fatto è che era apparso il fantasma invisibile dell’infermità mentale, tutti abbiamo capito rapidamente di cosa si trattava. È l’altra pandemia, la malattia che ha saturato i servizi essenziali di psichiatria e psicologia nel 93% dei Paesi del mondo. Molti di coloro che ancora non la conoscono da vicino, o che vogliono ignorarla, hanno sentito il bisogno di abbracciare Biles a distanza. Tuttavia, mentre mostravano il loro atteggiamento comprensivo si dispiacevano della sua incapacità nel superare tale male. Biles sconfitta da un demone interiore era la conferma di una debolezza invincibile. Ascoltando le spiegazioni della ginnasta abbiamo pensato che la materia e la psiche, anche se volano nell’aria, inevitabilmente portano in se stesse il segno della sconfitta. Diciamocelo, sono di fatto non le vittime del limite, ma il limite stesso.

Il dilemma provocato dentro di noi da Biles, il dilemma tra uno stoicismo che sogna eroi capaci di sopportare un destino tragico, e un pessimismo sconfitto, ben ci rappresenta, imprigionati in parametri volontaristici. È chiaro che esiste la vulnerabilità, ma è in questa vulnerabilità, nel limite, che appare con più chiarezza la nostra grandezza. L’infermità, fisica o psichica, si considera come una sconfitta assoluta solo quando la via del superuomo è l’unica accettata per uscire dal nulla. È urgente superare il dilemma Biles: l’uomo è grande perché nel limite aspira all’irraggiungibile. Non c’è malattia che possa evitarlo.

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