E’ finita la presenza degli Stati Uniti e degli occidentali in Afghanistan. Per prima cosa i morti: il sangue delle vittime che macchia a schizzi il muro dell’aeroporto di Kabul, il sangue di quasi 200 morti, di cui 13 americani. Come se le vene dove scorreva quel sangue non fossero di persone con una madre; come se ognuna di quelle duecento madri nel partorire questi figli non avesse saputo che la sua creatura veniva al mondo per far proprio un destino di felicità.

Per lealtà verso queste madri di cui non conosciamo i nomi, per lealtà a noi stessi, non possiamo allontanare lo sguardo, almeno per un momento, da questo muro dell’aeroporto di Kabul. Per provare il tormento e il bruciore dell’ingiustizia, per fare nostro in qualche modo il dolore provocato da una violenza che vuole ridurci al nulla. Per pregare chi sa, per affermare, con queste madri che non conosciamo, che i loro figli sono nati per un destino positivo, che neppure il peggiore dei terroristi può distruggere. Per prima cosa i morti e le loro madri, per non perderci in astrazioni, perché i terroristi non raggiungano il loro obiettivo, per continuare a essere umani.

Fine della presenza degli Stati Uniti e degli occidentali in Afghanistan. La disastrosa ritirata mette in discussione la presidenza di Biden, vent’anni di sforzi, di generosità, di denaro e di vite per costruire un Afghanistan democratico, dove si rispettino i diritti umani, dove le donne e i bambini siano trattati con rispetto. Ezra Klein sentenzia su The New York Times: “We are not powerful enough to achieve the unachievable” (Non siamo abbastanza potenti per realizzare l’irrealizzabile). Cosa porta il meglio dell’intellighenzia statunitense a riconoscere ora come irraggiungibile l’obiettivo dell’operazione iniziata pochi giorni dopo gli attentati dell’11 settembre?

Sulle pagine di altri quotidiani e settimanali anglosassoni, per converso, c’è chi sostiene, come Henry Kissinger o Tony Blair, che il progetto di esportare l’universalità della democrazia e dei diritti umani non è impossibile. Dicono che se l’obiettivo è diventato irraggiungibile è perché è mancata la perseveranza, l’intelligenza strategica, la capacità di vincere la pace dopo aver vinto la guerra. Che tipo di potere sarebbe mancato per conseguire l’obiettivo? Lo sconcerto con cui noi occidentali abbiamo assistito alla grande sconfitta in Afghanistan è la nostra immagine. Continuiamo a pensare che il problema avrebbe potuto essere risolto con più denaro, con più intelligenza strategica, con più militari, con una struttura burocratica che evitasse uno Stato fallito nella periferia (Víctor Lapuente).

Sicuramente, molti di questi fattori avrebbero aiutato, ma la nostra debolezza è che pensiamo che i valori universali possano rimanere in piedi senza un soggetto, senza una storia. Come se il progresso che comporta l’esistenza di regimi democratici, dopo secoli di lavoro educativo e culturale, fosse conquistato una volta per tutte. La democrazia non è come la ruota, una volta scoperta deve essere conquistata e riconquistata mille volte. Non si può esportare come si esporta un franchising di fast food. La globalizzazione ci ha fatto cadere nell’illusione di una universalità magica che non esiste. L’irraggiungibile era una democrazia nello spazio di vent’anni, un periodo cortissimo, appena una generazione: quasi nulla per la storia di un popolo. Quanto successo in Afghanistan è un avvertimento per l’Occidente: in Europa e in America non ci sono, fortunatamente, talebani, ma neppure qui la democrazia è parte del paesaggio.

Era irraggiungibile una democrazia in vent’anni, specialmente in un contesto geopolitico come quello che stiamo vivendo in questo inizio del secolo XXI. Né il Pakistan, alleato che gli Stati Uniti non sono mai riusciti a controllare, né la Cina, né la Russia avevano alcun interesse in una sconfitta dei talebani. Qatar e Turchia,  davanti a Emirati Arabi e Arabia Saudita, negli ultimi anni hanno sviluppato un progetto per controllare i Paesi a maggioranza musulmana con diverse versioni di islamismo. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane con il governo dei talebani. Cina, Iran e Russia non hanno garanzie di avere buone relazioni con il nuovo regime afghano, anche se è prevedibile che le ottengano.

Il futuro può essere molto instabile. Gli attentati all’aeroporto possono essere un segnale che l’Isis-K, la branca presente nel Paese, è disposto a iniziare una nuova guerra civile. Una nuova guerra, tra il jihadismo più radicale e il governo dei talebani che, in questo momento, non sembrano molto interessati a esportare terrorismo, a differenza dei seguaci dell’Isis.

I più pessimisti dicono che noi occidentali non abbiamo imparato niente da quando il Regno Unito dovette uscire di corsa dall’India. Se questa volta impareremo che la democrazia non è parte del paesaggio, ma un frutto strano che richiede di dissodare la terra e riconquistare ogni vent’anni ciò che pensavamo di sapere, sarà un grande progresso. La prima cosa che è da riconquistare è la sicurezza che una madre porta nel mondo un figlio per un destino buono, riconquistare ciò che le madri degli assassinati sapevano.