Sono momenti, quelli che stiamo vivendo, atti a rendere evidente la differenza fra chi fa impresa per creare ricchezza da distribuire all’interno di una società in profondo cambiamento e chi, rintanato nella propria officina, rimane in attesa degli eventi. È il momento di mostrare il coraggio e l’orgoglio di essere imprenditore in un mondo in cui la globalizzazione, pur mostrando qualche crepa collegata anche alla tremenda pandemia che ha colpito tutti, è divenuta un fatto irreversibile.
Certo le difficoltà operative aziendali, sopravvenute per motivi sanitari, vanno, in parte, a stravolgere la visione della catena produttiva. Dobbiamo prendere atto che l’operare a livello mondiale, in particolare nel mondo dei beni strumentali, ha insiti diversi rischi. È ora necessario mirare ad avere, nel nucleo dei propri fornitori, alternative per non trovarsi – di fronte a situazioni di impedimento produttivo da parte degli abituali fornitori di componenti, automazione, software – nell’impossibilità di produrre e consegnare beni nei tempi concordati con i clienti.
Siamo in un momento di esplosione di voglia di investire, dopo i tremendi momenti del 2020, e si rischia di non poter sfruttare totalmente la situazione per due motivi: ritardi nella consegna di materie prime e mancanza, in particolare nelle Pmi, di strutture e personale sufficienti a rispondere al moltiplicarsi delle richieste del mercato. Pur non affermandolo esplicitamente, i Paesi che dispongono delle materie prime approfittano dell’incremento di domanda per alzare i prezzi e per favorire la domanda interna.
Sono in discussione problemi che andranno a stravolgere prodotti e processi produttivi nei prossimi anni, con risvolti tangibili sul settore dei beni strumentali. Mi riferisco alle problematiche della sostenibilità che, talvolta, paiono trattate senza i necessari approfondimenti in tutti i campi in cui la sostenibilità va valutata. Tutti dobbiamo avere cura dell’ambiente e nulla può non essere indirizzato al miglioramento delle condizioni di vita odierne e future.
Non bisogna però lasciarsi trascinare in avventure che, se attentamente valutate, potrebbero portare disagi economici e sociali senza incidere sui miglioramenti ambientali. Si potrebbe portare ad esempio la visione europea del green che prende di mira l’automotive. Siamo sicuri che in un’area ad alta attività manifatturiera la sostituzione in tempi esageratamente brevi della totalità del trasporto endotermico con quello elettrico costringerà molte imprese a rivedere completamente la propria attività, e non tutte potranno convertire la produzione attuale. Tali aziende saranno costrette a ridurre la capacità produttiva incidendo sul numero di persone occupate.
Vi è poi la certezza che in un’area come l’Europa e, a maggior ragione l’Italia, esista la possibilità di creare le infrastrutture necessarie per una mobilità esclusivamente elettrica e si possa operare senza avere alcuna disponibilità di materie prime, litio in particolare, per produrre le batterie necessarie per la realizzazione di tale visione? Dovremo dipendere totalmente dai Paesi che potranno produrle e pensare a come creare le discariche necessarie alla distruzione delle batterie a fine vita.
In questo momento pare più visibile una difficoltà nella sostenibilità economica e sociale che non un impulso di quella ambientale. Bisognerebbe valutare l’intero processo che va dalla produzione delle basi per una mobilità elettrica – batterie, materiali con cui costruirle, chip per il loro funzionamento, energia per produrle (non si può pensare che non si usino combustibili fossili) – fino a scendere a tutte infrastrutture atte al funzionamento. Quanta energia sarà necessaria per potere caricare tutti i veicoli elettrici? Come la si produrrà? Non certo solo con i pannelli solari, per costruire i quali occorre il silicio, o l’eolico che non migliora sicuramente la bellezza ambientale.
Per il nostro Paese, e l’Europa, è necessario partire, sperando non sia tardi, a studiare, tramite centri universitari e tecnologici, alternative ai materiali oggi necessari al soddisfacimento della mobilità elettrica, tramite accordi internazionali entrare in possesso di quanto non potrà essere prodotto da noi e prevedere una programmazione industriale organizzata in nuovi stabilimenti e per distretti che ci permetta di non essere totalmente alle “dipendenze” di terzi continenti.
Siamo sì un Paese di artisti, scienziati, navigatori, atleti, ma anche un’area povera di materie prime capace però di sviluppare attività industriali che, in quanto a ingegno, non trovano paragoni a livello mondiale.
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