Infrastrutture, un’educazione alla crescita

L’Italia ha bisogno di infrastrutture sostenibili, modellate attorno a un’educazione integrale alla crescita. Come suggerisce il “manifesto” del ministro Giovannini

“I francesi preferiscono parlare di infrastrutture ‘durevoli’, non ‘sostenibili’. Non hanno torto: anche in Italia abbiamo molte opere vecchie, l’abbiamo visto purtroppo con il ponte Morandi. Ma noi non vogliamo solo ricostruire infrastrutture che durino nel tempo, sostenibilità vuol dire concepite e realizzate in modo nuovo”. Enrico Giovannini, ministro “per le infrastrutture e la mobilità sostenibili”, ospite del Meeting l’ultimo giorno, ha insistito molto, senza eccessi d’orgoglio.

Il “Pnrr nel Pnrr”, il manuale d’istruzioni della strategia Recovery in Italia, è in quel “nuovo modo” di progettare il classico sviluppo keynesiano attraverso grandi lavori.

Non basta più mettere disoccupati a scavar buche per poi ricoprirle, come suggeriva l’elementare ricetta anti-depressiva degli anni 30 del secolo scorso. “Non basta tappare le falle degli acquedotti, bisogna dimostrare alla Ue che lo spreco d’acqua nel sistema idrico nazionale viene davvero tagliato in misura strutturale. Bisogna recuperare efficienza e qualità con norme e procedure amministrative innovative. Bisogna svegliare o creare l’offerta di imprenditorialità, prodotti e servizi”, ha scandito Giovannini a Rimini, con il linguaggio operativo appreso all’Ocse e messo poi al servizio dell’Istat.

“Infrastrutture & mobilità sostenibili”, nel ventunesimo secolo, non è più sinonimo di appalti e cemento, di finanza burocratica, di occupazione quantitativa e di corto respiro, sganciata da percorsi come quelli oggi tracciati dalla transizione digitale e da quella energetica nel format Next Generation Eu. La ripresa sostenibile si modella invece attorno a un’educazione integrale alla crescita: è stato il succo del “manifesto” lanciato a Rimini da Giovannini, che dopo l’esperienza nel governo Monti ha dato vita all’Asvis, divenuto subito think tank italiano di riferimento per l’Agenda 2030 dell’Onu.

“Il Pnrr non è una semplice somma di voci di spesa da esaurire entro determinate scadenze”, ha avvertito il ministro, e non è solo affare dei policy makers. “In molti Paesi e in molti settori sono state le imprese a credere nella riconversione: hanno trainato loro, ad esempio, la mobilità pubblica elettrica o a idrogeno, destinata ora a diventare regola. L’Azienda-Gran Bretagna ha messo al lavoro da dieci anni governo, imprese, università e ricercatori industriali attorno alla decarbonizzazione integrale, per quadrare il trade-off fra Pil, occupazione e salute”.

L’Azienda-Italia parte ora: è al tempo limite, ma non in ritardo irreversibile. E il manuale-Giovannini è ben aperto sul tavolo.

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