Infezioni ospedaliere e pulizie: non si muore di solo Covid-19

I tagli dei costi per le pulizie negli ospedali, annunciati nei giorni scorsi e pensati per contenere i costi della sanità, possono nascondere un pericolo per la salute dei pazienti

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) stima che tra il 5% e il 15% dei pazienti ospedalizzati rischia di sviluppare almeno una infezione generata dalla degenza ospedaliera (ICA). Il risultato è che ogni anno a livello mondiale, centinaia di milioni di pazienti vengono contagiati in ospedale da microrganismi che causano patologie (quali le enterobactericee, i cocchi Gram positivi e negativi, i bacilli anaerobi, Gram positivi e negativi, i funghi, i virus). Il trend di questi fenomeni è in aumento, tanto che la stessa Oms ha indicato la sicurezza del paziente come uno degli obiettivi principali di attività a livello planetario.

Non è solo il Covid-19 ad allarmare, quindi. E visto che è tempo di scelte importanti nella razionalizzazione dell’uso delle risorse pubbliche, è importante sapere che cosa avviene nelle corsie dei nosocomi.

Per l’Europa uno studio del 2019 eseguito dall’European Center for Disease Control ha stimato che 4,1 milioni di pazienti contraggono un’infezione ICA. Si tratta quindi di circa il 5,7% dei pazienti curati in ospedale, ovvero uno su venti. I decessi attribuiti a patologie ICA sono circa 37.000 e 110.000 le morti per le quali l’ICA rappresenta una concausa. Il Rapporto 2018 dell’Osservatorio nazionale sulla salute, guidato dal professor Walter Ricciardi, rivela che nel nostro paese si è passati dai 18.668 decessi per infezione ospedaliera del 2003 ai 49.301 del 2016.

Le ICA hanno un impatto rilevante anche dal punto di vista economico: ogni caso determina un prolungamento medio della degenza di 15 giorni, con un aumento della spesa sanitaria variabile tra 5.000 e 50.000 euro. Risulta pertanto evidente come la possibilità di prevenire e ridurre il numero di ICA oltre al chiaro beneficio per le persone e per la sanità, consentirebbe anche un notevole risparmio economico.

Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che gli interventi di pulizia ambientale possono ridurre in modo significativo l’incidenza ICA. Occorre stabilire adeguati protocolli di pulizia per il mantenimento di un elevato livello igienico negli ambienti ospedalieri, in base alle differenti aree di rischio infettivo.

Una prima ricerca sugli ospedali lombardi a cura della Fondazione per la Sussidiarietà e dell’Università di Bergamo aveva mostrato che esiste una relazione inversa tra spese per servizi d’igiene e tassi d’infezione ospedalieri. All’aumentare dell’1% dell’indice di spesa, il tasso di infezioni diminuisce di una percentuale che va da ‐0,12657 a ‐0,19853 nei diversi modelli. Non solo: è stato anche dimostrato che, se un’azienda ospedaliera spendesse circa 58.000 euro in meno all’anno per servizi di pulizia, avrebbe un costo aggiuntivo netto di oltre 100.000 euro annuali dovuto all’incremento di infezioni, stimato in circa 4.000 casi.

I tagli indiscriminati della spesa, quindi, non sono un indice di migliore gestione, ma possono tradursi in un incremento dei costi finali effettivi. I tagli dei costi per i servizi d’igiene, annunciati negli scorsi giorni e pensati per contenere i costi della sanità, possono quindi nascondere un pericolo per la salute del paziente, dovuto alle conseguenze dell’aumento di infezioni e anche sul piano economico sono controproducenti.

È in corso sul tema una seconda ricerca, questa volta sul territorio nazionale, condotta per la parte statistico-economica da una équipe della Fondazione per la Sussidiarietà e per la parte epidemiologica da docenti della facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Dai primi risultati ricavati, analizzando 274 ospedali dagli anni dal 2015 al 2018 (ultimi dati disponibili), emerge purtroppo una conferma della scarsa attenzione al problema delle infezioni ospedaliere.

Negli ospedali esistono reparti ad altissimo, alto, medio, basso o nullo rischio infettivo; inoltre vi sono reparti di terapia intensiva, pronto soccorso e pronto soccorso ad alta intensità. È evidente che ci si aspetta una spesa più elevata per i servizi di pulizia e igiene nei reparti a maggior rischio di infezione. Ebbene la ricerca mostra invece che tutto questo non avviene per niente: la spesa per pulizia e igiene non mostra alcuna correlazione statisticamente significativa con il rischio di infezione insito nei vari reparti. La spesa per pulizia, al contrario, sembra quindi legata a criteri che ignorano tale grave problema.

Negli anni presi in esame, inoltre, la spesa sanitaria per igiene e pulizia negli ospedali pubblici italiani è in contrazione: attraverso un opportuno modello statistico è stato verificato che nel 2018 rispetto al 2015 vi è una diminuzione marginale della spesa del 36% per le pulizie e addirittura del 66% per l’igiene nel complesso, al netto dei fattori specifici che descrivono le caratteristiche degli ospedali.

Il problema nasce alla fonte. Il meccanismo del massimo ribasso nell’assegnazione degli appalti certamente non aiuta a muoversi in modo corretto nel campo della pulizia e dell’igiene per minimizzare il rischio di infezioni. È una conferma della tendenza al disinvestimento nella sanità che già molti osservatori hanno messo in luce in occasione dell’emergenza Covid.

Una conferma si ricava anche analizzando la relazione tra spese per i servizi di igiene e pulizie e incidenza delle infezioni post-operatorie. Il campione rappresentativo è quello dei pazienti ricoverati con frattura al femore e sottoposti a chirurgia ortopedica, maggiormente soggetti a infezioni post-operatorie. Chi dedica maggiori risorse economiche all’igiene e alle pulizie ottiene anche una riduzione statisticamente significativa del tasso di infezioni post-operatorie. In altre parole, esiste anche una minore probabilità di osservare un’infezione laddove la spesa per pulizia e igiene è più elevata.

In conclusione non si può che riprendere quanto ha detto al Meeting di Rimini il ministro della Salute, Roberto Speranza: “Per troppi anni sono stati i bilanci a decidere quanto diritto alla salute si poteva tutelare. Non deve più accadere”. Il grande equivoco di questi anni è pensare che educazione e salute siano spese sociali, quasi perdite di denaro anziché investimento in capitale umano e miglioramento delle condizioni di vita delle persone, che è lo scopo primo della società e condizione necessaria per uno sviluppo economico equilibrato.

Il debito cattivo nasce dall’incapacità di considerare le politiche nella loro complessità e prospettiva. Perdendo di vista lo scopo di un servizio alla persona, non si sanno più allocare le risorse in modo utile e nemmeno efficiente.

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