Asterix e Tintin, i protagonisti dei migliori fumetti della storia, sono finiti al rogo in Canada, i loro libri bruciati perché considerati razzisti e politicamente scorretti per vari motivi. Di fronte a ciò che alcuni definiscono la censura di un nuovo puritanesimo, vi è chi spinge per intensificare le guerre culturali. Serviranno queste guerre per aprire i necessari e desiderati spazi di libertà?

Anne Appelbaum, in quello che secondo il Washington Post e il Financial Times è il miglior libro dell’anno, “Il tramonto della democrazia”, denuncia la comparsa di segni autoritari nei sistemi liberali. La giornalista e saggista è ritornata alla carica in un recente articolo su The Atlantic, nel quale denuncia come molti abbiano perso tutto per aver rotto certi codici sociali su temi tabù connessi con l’origine etnica delle persone, il sesso o l’identità. Come esempio, cita l’uscita di Ian Buruma da The New York Review of Books per le sue opinioni sul movimento #MeToo e per l’ostracismo professionale sofferto. Evidenzia poi che è sempre più frequente, negli Stati Uniti, che i professori universitari abbiano paura di tener lezione, perché i loro allievi potrebbero accusarli di non essere corretti. È sempre più difficile per loro far uso della libertà di pensiero e di ricerca. I cosiddetti “luoghi sicuri” universitari in realtà sono prigioni.

Appelbaum è stata una dei 153 firmatari del documento che, un po’ più di un anno fa, è apparso sulla prestigiosa rivista statunitense Harper’s Magazine di tendenza liberal, ciò che in Europa chiamiamo progressista o di sinistra. Nella lettera si criticava la cosiddetta cultura della cancellazione (cancel culture). Questo gruppo di intellettuali denunciava una forma di potere non governativo, esercitato in una forma fluida da gestori di contenuti, opinionisti, direttori di mezzi di comunicazione, e altri, che mettono in atto un nuovo puritanesimo. Nuovi puritani è il titolo di un articolo di Brian Patrik Eha pubblicato più di un anno fa sul City Journal, scritto per denunciare l’asfissiante atmosfera creata da un “moralismo illiberale”. In nome della lotta contro il razzismo, la xenofobia o la discriminazione sessuale, sempre necessaria, si starebbe creando un rifiuto al pensiero libero, indipendente ed estraneo a certi nuovi canoni vigenti perfino quando si parla di cibo. I firmatari della lettera chiedevano più dibattito, più argomentazioni e meno censura. Appelbaum e i suoi compagni non sono gli unici, altri chiedono una resistenza e una battaglia contro il postmodernismo da posizioni marxiste. La nuova censura avrebbe prodotto una specie di “ingegneria semantica”. Marcuse, già più di 10 anni fa, parlava di “tolleranza repressiva”.

Per rispondere a questa falsa tolleranza, ci si rifà al sentimentalismo tossico, al revisionismo storico segnato da neo-dogmi, all’intraprendere nuove guerre culturali e a rafforzare quelle già in atto. Fornendo munizioni, di artiglieria pesante, rinforzando i conflitti in campo aperto e le schermaglie di guerriglia. Si sostiene che la neutralità è scomparsa nella cultura, nell’università, nelle istituzioni, e occorre ritornare alla vecchia formula di Gramsci: recuperare l’egemonia nelle fonti di produzione del significato. E se l’egemonia non è possibile, occorre qualcosa che le assomigli e se non si può giungere a qualcosa che le assomigli, quantomeno bisogna emergere. Qui starebbe l’origine di ogni cambiamento. L’obiettivo sarebbe creare una grande alleanza che includa quanto rimane della vecchia socialdemocrazia, il mondo liberale e conservatore, i vecchi illuministi frustrati dalla deriva dei tempi e “occupare il maggior numero di luoghi per poi liberarli”, come qualcuno afferma testualmente. Far fronte al dogma identitario e cancellatore con i contenuti tradizionali dell’illuminismo: libertà e uguaglianza.

L’obiettivo della liberazione esiste certamente, viviamo senza dubbio in un tempo nel quale la libertà è merce rara. Altra cosa è, però, che le guerre culturali possano servire ad aumentarla. I nuovi puritani e i loro rivali in fondo condividono lo stesso metodo, ciò che li differenzia è lo schieramento e l’obiettivo. In entrambi i casi non si tiene conto di quale è la grande risorsa per aprire spazi di libertà: il valore che ha la persona. Sembra che si disconosca la quasi indistruttibile capacità della gente, della sua struttura esistenziale profonda, nel distinguere ciò che è umano da ciò che è disumano. Ultimamente tutti confidano molto nel potere dell’ideologia e dei poteri culturali e molto poco nel potere della vita. Per questo viviamo in un tempo dominato dai chierici, dai chierici-chierici e dai chierici-laici. È la vita, la vita nelle sue forme elementari, la vita di chi lavora, di chi soffre, di chi ama, quella che decide, a condizione che questa vita giudichi minimamente ciò che le dice la cancellazione, la tolleranza repressiva o gli astratti universali di uguaglianza o di libertà.

È questo giudizio, che spesso non c’è né nei grandi media né nei centri del potere, ma in luoghi insospettabili, l’unico che apre spazi di libertà. Se qualcuno vuole fare un lavoro culturale in favore della libertà, organizzare un movimento sociale, che la sviluppi per accrescere la potente capacità di discernimento che viene dalla vita, dalle esigenze che la strutturano. Qualunque altra formula non aiuta la maturità delle persone. Ti piace Tintin? Perché?

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