Nel mezzo del lockdown – marzo/aprile 2020 – economisti, managers e politici hanno cominciato a domandarsi se, quando e come, ci potesse essere una ripresa. Esisteva una fortissima preoccupazione, di fronte a una crisi mai vissuta dal secondo dopoguerra in avanti. La pandemia aveva infatti ridotto drasticamente l’offerta, con la chiusura di moltissime attività. Inoltre, erano fortissimi i timori di uno shock pesante e negativo sulla domanda: perdita di lavoro, riduzioni di reddito e conseguenti ricadute sull’economia.
Sono passati 18 mesi. Abbiamo visto che la ripresa c’è stata. Non è stata a “V”, come alcuni sostenevano. Ossia una caduta fortissima, ma con una ripresa quasi immediata. L’economia non ha però neanche vissuto una fase a “L” – ossia una caduta e un lungo periodo fermo a un basso livello –, ma è ripartita, già dall’estate del 2020.
Oggi le previsioni del governo, e delle principali istituzioni economiche internazionali e nazionali, parlano di una crescita robusta nel 2021: si prevede per l’Italia un +6%, in termini reali, quindi al netto dell’inflazione. La dinamica della ripresa è stata quindi a forma di “U”, con il trattino orizzontale – di recessione – che ha riguardato principalmente l’anno 2020 (il Pil del nostro paese si è ridotto del 9%, quasi il doppio della diminuzione dovuta alla precedente crisi del 2009). Per la fine del 2021 non saremo tornati come Pil ai livelli pre Covid-19; tuttavia, esistono le premesse perché questo possa avvenire nel 2022 (mentre invece dopo un decennio il nostro paese non aveva ancora saputo tornare ai livelli del Pil precedenti alla crisi finanziaria del 2009).
Quali sono le cause di questa ripresa? Ne esistono molte, e molte se ne scopriranno in futuro, con i progressi della ricerca economica. Ne azzardo una, spesso poco evidenziata, che riassumo in uno slogan: politica ed economia. La politica e gli studiosi di economia hanno lavorato insieme e permesso di resistere a una crisi senza precedenti e hanno posto le basi per una ripartenza, diversa dal periodo precedente, forse più florida, anche per il nostro paese.
Gli economisti hanno individuato due strumenti su cui concentrare gli interventi per affrontare la crisi: 1) il sostegno al reddito da lavoro e 2) alle imprese. Non era possibile fermare il motore dell’economia. Avrebbe creato danni irreversibili, sarebbe stata necessaria una lunga ricostruzione, come quella che avviene dopo un terremoto (le statistiche dicono che occorrono 3 anni solo per rimuovere le macerie). E questo soprattutto per non disperdere il capitale tecnologico e umano accumulato durante gli anni di attività dagli imprenditori, dai managers, dai professionisti, dagli impiegati, dagli operai eccetera. Questo ha preso forma negli aiuti alle imprese (i “ristori”), per permettere la semplice sospensione temporanea dell’attività, per poterla riprendere immediatamente all’allentarsi delle restrizioni.
Gli esempi più lampanti sono quelli del settore della ristorazione, turistico e in generale tutto quello ricreativo. Ma non bastava: occorreva anche sostenere il reddito da lavoro, perché non portasse a una crisi di domanda, introducendo una spirale negativa. Ecco allora gli interventi come la lunga cassa integrazione generalizzata, un fenomeno mai visto prima.
Ma il contributo più importante è venuto dalla politica, europea e italiana. In Europa è accaduto qualcosa che assolutamente non si poteva immaginare prima del Covid-19: gli Stati membri dell’Unione Europea hanno lanciato il Recovery Fund-Next Generation Eu, con interventi a sostegno dei governi nazionali, raccolta di fondi comune e garanzie solidali. Impensabile prima del 2020 (nel 2009 la risposta era stata l’austerity!).
Anche il governo italiano ha dato un contributo importante: ha accantonato logiche di parte e ha svolto un lavoro comune, con interventi mirati, certamente migliorabili, ma che grazie alla coesione delle forze politiche, hanno permesso la ripresa. E nel 2021 la quasi totalità delle forze politiche sta lavorando insieme per approvare tutte le riforme che ci consentiranno di accelerare nella crescita, anche grazie ai 200 miliardi di euro provenienti dall’Europa. Anche quanto avvenuto in Italia, dove la politica è stata per anni prevalentemente l’ambito di tutela di interessi di parte e di forti contrapposizioni, era impensabile nel 2019.
Si può obiettare che i policy makers abbiano avuto vita facile, perché hanno potuto spendere; questo negli anni precedenti non era possibile (chi non ricorda le contrattazioni con la Commissione europea dell’autunno 2019 per un deficit pubblico nel 2020 del 2,04% – inizialmente si chiedeva il 2,4%). Vero. Però la spesa è andata nella direzione giusta. Certo, la prova si avrà nei prossimi mesi. Occorre impiegare bene le risorse, completando le riforme, spingendo sulla digitalizzazione, sulla nuova organizzazione del lavoro, sull’ammodernamento della pubblica amministrazione. Mantenendo la coesione delle forze politiche.
In quest’ottica hanno un ruolo fondamentale i cittadini: premiare le forze politiche che operano per il bene comune e non per difendere interessi particolari.
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