Soltanto Cristoddio può continuare a sopportar questa marmaglia di gente: ad ogni piè sospinto lasciano tracce di una figuraccia dietro l’altra. Ormai, anche se solo si volesse contarle, due mani non sarebbero sufficienti. E badate bene che le figuracce non vengono sempre-e-solo da quella testa calda di Pietro e del gruppetto che gli va dietro: arrivano un po’ da tutte le parti.
Stavolta, ad esempio, protagonista è l’uomo che meno t’aspetteresti, il genietto che, quando si metterà a scrivere il suo Vangelo, invece che scrivere “polenta” adorerà scrivere “crema di mais”. Stessa materia, identico contenuto: ma vuoi mettere l’eleganza di dire crema di mais invece che volgarmente polenta? Ebbene sì, il caro Giovannino-testa-fine, stavolta sbarella pure lui. Domani poggerà il capo sul petto del Rabbì e reggerà gli starnuti del male sotto la Croce, ma oggi tracolla. Mostra d’essere pure lui uomo, un po’ invidioso.
Che botta per il Cristo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Giovannino, Giovannino, che cosa vai dicendo: che siccome “non è dei nostri”, allora non può fare del bene. E se uno sta morendo? Che muoia, se noi non siamo liberi per salvarlo, vero? D’altronde – pensa Giovanni – se non si appartiene ad un’associazione, se non si versa una quota annuale, se non si è cresciuti a casa-e-chiesa (se non si è fatta tutta la gavetta da zero a cento), non si ottiene il certificato di idoneità al bene. Senza pass, nessun bene sarà lecito.
Giovanni è intelligente, nessuno dubita sulla sua preparazione: l’intelligenza senza la bontà, però, somiglia a un abito da sera d’alta moda indossato da un cadavere. Quando ragionano così, sono dei cadaveri, i discepoli. Sono gelosi di chi, pur non aderendo a Cristo, riesce a migliorare le vite altrui. “Non invidiate: applaudite e poi fate di meglio” li rimbrotta il Cristo. Parole testuali: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me”.
Di fronte alla stessa scena, Cristo mette in scena la sua opera più bella: la bontà colta mentre è all’opera (per mani altrui). Gli amici – non li posso manco biasimare tanto mi sono gemelli – guardano il mondo con il microscopio, scannerizzano l’appartenenza: “Tu, vediamo? Sì, sei iscritto, vieni pure dentro. Tu, vediamo? No, non sei in regola con i pagamenti. Stattene fuori, per cortesia!”.
Cristo guarda il mondo, invece, col telescopio: non c’è nessun frammento di bene, sia che a firmarlo siano gli amici sia che lo firmi gente che non lo riconosce come il Dio della storia, che gli passi inosservato. Gli amici soffrono d’invidia reatroattiva, attiva e anche interattiva. Lui, correggendoli senza fare sconti, mostra d’avere a cuore anche la loro salute, oltreché la salvezza: “(Amicimmiei), non vi lasciate entrare in corpo il serpe dell’invidia: è un serpe che rode il cervello e corrompe il cuore” (Edmondo De Amicis). Perché il guadagno altrui è sempre una perdita per te?
La bontà, dunque: prima ancora del credo, dell’adesione formale, di firmar l’otto per mille alla Chiesa cattolica. Perché il giorno in cui si acconsente ad una inezia di bontà di passare attraverso le nostre mani, su quel giorno la morte non avrà alcun potere: non riuscirà a strappare quel giorno da nessun calendario.
E annuncia la sua prossima campagna-acquisti, di modo che nessuno abbia più il sospetto che a qualcuno sia preclusa la possibilità d’entrare a far parte, giocare, della Sua squadra. Per accasarsi basta saper dimostrare, in stato d’emergenza, di saper dare “da bere un bicchiere d’acqua” (cfr Mc 9,38-48) a chi avrà sete. Nessun obbligo di far parte di questo movimento, di quel partito, di quell’associazione benefica, di quella fraternità.
Il motivo, Cristo lo sa, è presto detto: per spiegare la bontà son tanti i professionisti in circolazione. La vera bontà, però – sembra ribatter Cristo – è più facile da riconoscere che da definire. Ennesima correzione di sguardi per la prima Chiesa: è di Dio non solo chi sa citare Dio a memoria ma soprattutto chi sa farLo parlare senza citarlo in tutti i discorsi. Come fosse del prezzemolo.
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