Qualche mese fa sono state pubblicate in Europa diverse traduzioni di Stalingrado di Vasili Grossman. Il romanzo aveva subito parecchie amputazioni da parte della censura sovietica e la sua versione originale era stata ricostruita da Robert Chandler e pubblicata in inglese nel 2018. L’opera, prima parte di Vita e destino, è apparsa, così come fu scritta, nel momento più opportuno, quello in cui abbiamo bisogno più che mai di ciò che l’ucraino chiamava “un genere di arte che non separa l’uomo dal mondo, ma lo unisce ad esso, alla vita e alla gente”.

Grossman acquisì gran parte della sua forza narrativa come corrispondente di guerra, scrivendo per il giornale dell’esercito sovietico, la Stella Rossa. Nell’estate del 1942 fu inviato a Stalingrado, quando la città era sotto l’assedio dell’esercito tedesco. Lo scrittore vide incarnato nei soldati dell’Armata Rossa l’eroismo del popolo russo dedicato alla libertà del mondo intero. La difesa strada per strada della città, in condizioni durissime dove la forza delle truppe al comando di Hitler pareva imbattibile, segnò profondamente il suo animo. Grossman era l’inviato speciale che aveva sentito, descrivendolo con precisione, il suono delle pallottole e delle bombe, che aveva visto incendiarsi il Volga, che aveva condiviso con i soldati un compito imprevedibile in cui persero la vita molti giovani.

Tutto questo materiale è alla base di un’opera di 1200 pagine, inserita nella grande tradizione del romanzo russo, nella quale la guerra fa da sfondo a un ampio universo di personaggi. Di Stalingrado si può dire quanto Grossman diceva di altri libri e opere d’arte: “Ha la essenzialità suprema del bianco, risultante dalla estremamente complessa mescolanza dei colori dello spettro luminoso”. In questa complessità e semplicità vibra l’umano con un’intensità che desta nel lettore una nostalgia profonda e antica. Appare, secondo le sue stesse parole, “la vita, con la sua grandezza e complessità, penetra sotto la pelle e si mescola con il sangue, il respiro e la ragione (del lettore)”.

Il Grossman di Stalingrado, a differenza di quello di Vita e Destino, crede ancora nella bontà dell’uomo sovietico, crede nella verità di un progetto che, risvegliando le energie migliori del popolo, realizza una conquista dopo l’altra, cambia la campagna, supera la povertà, produce una radicale trasformazione e modernizzazione. L’autore si emoziona al rumore delle innumerevoli fabbriche che stanno sostituendo il ritardo secolare con un futuro vigoroso. La sua devozione al valore del lavoro collettivo è religiosa e malgrado il romanzo lasci spesso traspirare una grande ingenuità ideologica, il lettore non prova rifiuto. La sua “non è un’arte concettuale che si interpone tra l’uomo e il mondo”. Dentro le pagine che più appaiono condizionate dalla propaganda, scorre il fiume della vita, la vita reale.

Nelle prime pagine, Grossman descrive con la sua abituale maestria l’incontro tra Mussolini e Hitler, il 29 aprile 1942, nel quale venne preparata la definitiva offensiva contro l’Unione Sovietica. Dopo aver descritto l’incontro tra i potenti del momento, l’autore racconta con una tenerezza sobria e potentissima il momento in cui un contadino, Vavilov, deve andarsene dalla sua casa e dal suo villaggio. Lo hanno chiamato nell’esercito. Nella scena pulsa l’amore per i suoi figli e sua moglie, la preoccupazione per la casa, per il lavoro nel campo e nella comunità. Pulsa in un modo che il lettore percepisce e capisce, vive la grandezza dell’esistenza, la promessa e l’apertura dei momenti (“il suo lavoro sarebbe continuato nel tempo”) quotidiani.

Poche pagine dopo, ci presenta buona parte dei personaggi che saranno protagonisti del resto del romanzo. È una semplice cena a casa di Aleksandra Vladimirovna Shaposnikova, la vedova di un famoso ingegnere civile, dove vengono presentate varie generazioni della famiglia e alcuni amici. Da questo primo quadro si sviluppano storie bellissime nelle quali appare l’amore, la morte, la delusione, la passione per il lavoro e per la costruzione di un nuovo mondo, l’eroismo, il male incomprensibile, la sofferenza degli innocenti, l’illusione inaspettata… Sono tutte storie con la verosimiglianza di un’esperienza ampia e ricca, che arrivano a formare un’immensa sinfonia.

Il tema centrale, il tema di fondo di questa grande composizione che è Stalingrado, è ben riassunto nel sentimento e nel giudizio che sopraffanno Novikov, uno dei personaggi, in una passeggiata notturna in un giardino. “La bellezza del mondo superò quella notte la sua vetta più alta, fino al punto nel quale non si poteva smettere di riflettere in essa (…). In momenti come quelli, l’uomo percepisce la luce, lo spazio, il sussurro, il silenzio, i colori dolci (…). Tutte quelle centesime o, a volte, millesime e milionesime parti che compongono la bellezza del mondo. Quella bellezza, l’autentica bellezza, vuole solo trasmettere all’uomo un messaggio: la vita è un bene”. Probabilmente è l’evidenza della quale ha più bisogno il lettore dell’inizio del XXI secolo.

Anche nelle ultime pagine che scrisse nella sua vita Grossman ha parlato della bellezza. Ha assicurato che “la bellezza esagerata e incredibile delle montagne suscitava un sentimento più grande che quello dell’emozione, provocava un turbamento e quasi paura (…). In momenti come questi sembra che qualcosa di improbabile sia sul punto di accadere, una trasformazione radicale”.