La cenere della paura che copre questi primi giorni del nuovo anno è destinata a volar via nelle prossime settimane, secondo le intenzioni del Governo. La stretta sul green pass arriva all’inizio del nuovo ciclo trimestrale del 2022 ed ha come obiettivo mantenere al lavoro le persone in maniera sicura lasciando indietro chi non accetterà di adeguarsi. È l’unica soluzione razionale e che consente una certa “nuova normalità” senza bloccare ogni cosa. Se funzionerà, dalle prossime settimane si inizierà a rivedere il vento della crescita che ha già dato al Paese la forza di porsi come leader europeo della ripresa e verrà spazzata via la coltre che tiene sopiti anche molti conflitti.
Alcuni sono sistemici e globali, come la lotta tra capitale finanziario ed economia reale. Due mondi che si guardano sempre più distanti tra loro e che rischiano di avvolgersi in una lotta mortale che può far danni ad entrambi. La polemica tra il senatore Sanders e Warren Buffett sul livello dei salari che spettano ai “blu collars” ne è un esempio. Il senatore più socialista d’America ha scritto al finanziere più ricco del mondo denunciando che un’acciaieria da lui controllata offriva salari bassissimi ai dipendenti americani. La risposta di Buffett è stata lapidaria: “non è il mio lavoro” stabilire cosa sia giusto pagare ad un dipendente. Segnando così un punto a suo favore come investitore, ma dando la netta rappresentazione di come questo ignorarsi reciproco porterà inevitabilmente allo scontro tra i due mondi.
Accanto a questo tema riemergerà la questione dei territori. Pezzi interni del modo hanno economie non solide e non sufficienti a reggere la massa dei loro abitanti secondo standard ritenuti accettabili. Appena finita la pandemia riprenderanno i flussi migratori acuiti dal blocco di fatti di questi mesi.
Nel nostro Paese riprenderà con forza la polemica su questi temi, dinamiche del salario ed immigrazione, a cui si aggiungerà il tema della crescita interna ancora troppo poco radicata nel Mezzogiorno. Con la locomotiva del Nord che chiederà maggiore autonomia, seppur differenziata, ed il Mezzogiorno imbrigliato nelle promesse. Sì, perché con i primi dati gli impegni sul Mezzogiorno paiono sempre più solo mere promesse. Segnalato da alcuni operatori, emerge che alla prova dei fatti stanno venendo fuori le prime anomalie.
La prima rilevabile riguarda la spesa per investimenti attinente il “bando borghi” del ministero della Cultura. Sulla base della ripartizione 40% al Mezzogiorno e 60% al resto del Paese accade che il Trentino prende 2,2 milioni in più della Basilicata e la Val d’Aosta quanto il Molise. Due regioni tra le più sviluppate e meglio finanziate avranno dallo Stato più soldi in assoluto o pro capite delle regioni del Sud, di certo meno avvantaggiate e più bisognose. Certo sono spiccioli di Pnrr, circa 380 milioni di spesa totale, rispetto ai diversi miliardi attesi. Ma la cosa in sé è preoccupante e, se non corretta, scandalosa.
Quei soldi, nella loro consistenza, sono stati dati all’Italia per superare il divario territoriale e non per alimentarlo, e se la regola del 60/40 ha questi effetti è semplicemente un cosa inaccettabile. Ci vorrebbe una norma di salvaguardia che dica che sempre e comunque la quota di spesa destinata alla single regioni del Mezzogiorno sia superiore a quella attribuita al resto d’Italia e soprattutto a quelle regioni che già godono, grazie a oltre 70 anni di “autonomia”, di un livello di spesa pubblica globale fuori scala se rapportata ad altre regioni. Altrimenti, come si fa a superare un divario inaccettabile all’interno del Paese, davvero non si comprende.
Sarà sicuramente la solita matematica redistributiva inventata dalla politica, ovvero l’uso della matematica per giustificare cose immediatamente percepibili come ingiuste. Se siamo in due con un pollo abbiamo mezzo pollo a testa, a prescindere da chi lo mangia, per capirci. Ma il tema rischia di diventare esplosivo e di dare la mazzata definitiva alla fiducia non in Draghi e neppure nei singoli ministri, in alcuni casi, ma nella macchina burocratica e nel sistema di gestione della cosa pubblica, che paiono non voler accettare, mai in nessun caso, che vi sia un reale sforzo per il Paese e per le sue terre più in difficoltà e preferisce continuare a non vedere.
Nel lungo periodo si produce, come dimostrano i dati, la desertificazione per emigrazione dei territori e la caduta di presenza politica del Mezzogiorno, lasciato nelle mani di chi se lo prende. Nel lungo periodo si giustificano le spinte autonomiste e centrifughe che vogliono disarticolare lo Stato ed esaltare i localismi. L’esatto opposto degli obiettivi del Pnrr che vuole creare omogeneità per rispondere alle sfide del futuro in modo unitario.
Di fronte alle crisi insorgenti, che sotto la cenere del virus appaiono sopite, senza una risposta europea e quindi senza uno Stato forte e coeso, siamo destinati ad assistere ad un vero e proprio stravolgimento, non positivo, delle dinamiche economiche con sconquassi che arriveranno nella profondità della società italiana molto di più e più dolorosamente del virus. Correggersi in tempo è l’unica possibilità Vedremo se sarà colta.
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