A differenza del Reddito di cittadinanza – confermato in Legge di bilancio per il 2022 e in prevedibile proroga “elettorale” per l’anno successivo – le garanzie pubbliche d’emergenza per i crediti bancari verso le imprese sono scadute a fine anno. Bankitalia, Mef e Mise – con un passo in sé significativo – hanno voluto fotografare la situazione assieme all’Abi, a Invitialia/Mediocredito centrale e a Cdp/Sace. Ma dopo l’allarme lanciato dall’Assobancaria immediatamente dopo Capodanno, la preoccupazione è in visibile escalation in tutti gli ambienti e le aree dell’Azienda-Paese.
Le cifre – al solito – parlano da sole: sono ancora attive garanzie pubbliche totali per 44 miliardi di crediti (su 221 complessivamente prestati dal varo dell’originario decreto Liquidità nel marzo 2020). E sono ancora 32 i miliardi di prestiti particolarmente delicati: perché in capo a circa 400 mila piccole e medie imprese, ancora sotto pressione per la quarta ondata Covid e per l’accumulo di tutti i contraccolpi recessivi della lunga stagione pandemica. Né può essere dimenticato il presidio pubblico a 6 miliardi di crediti personali alle famiglie divenuti problematici (di cui uno relativo a rate scadute di mutui per l’acquisto di prima casa).
È evidente come non sia immaginabile la cancellazione “tout cort” di questo rete protettiva quando la minaccia-Covid è ancora reale. Per le stesse ragioni non è stato neppure immaginato il ridimensionamento del Reddito di cittadinanza: che è nato nel budget 2020 come misura di politica sociale (su iniziativa del governo Conte-1) e si è presto trasformato in una misura di sostegno per centinaia di migliaia di italiani ritrovatisi privi di lavoro e di reddito.
La garanzia statale per i crediti bancari è una misura simmetrica e complementare .È andata per 18 mesi – ed è raccomandabile che continui ad andare per almeno un semestre – a supportare una forma peculiare di “cittadinanza”: quella delle imprese, che il linguaggio tecnico (economico e giuridico) racchiude nella formula “continuità aziendale”. E in estrema sintesi: un’impresa è in “continuità aziendale” se anzitutto è considerata solvibile presso i creditori.
La “continuità aziendale” tiene viva l’impresa, evita l’azzeramento del suo patrimonio: compresi i suoi “valori intangibili” ma non per questo meno importanti (competenze di prodotto, processo e mercato che alimentano la competitività di quell’impresa). È in presenza di una moratoria e garanzie che le banche non solo tengono aperto “l’ossigeno creditizio” verso le imprese, ma tutelano anche la propria stabilità: un prestito oggi temporaneamente non esigibile può tornare a esserlo nel periodo breve o medio. Un’impresa assediata dalle mille emergenze-Covid (negli ultimi mesi sono emerse la crisi delle catene di approvvigionamento e il forte rialzo delle bollette energetiche) può aver bisogno di altri mesi di “salvagente”. Se il tunnel diventa vicolo cieco e binario morto, perderanno – perderemo – tutti: banche e imprese, Governo e sistema-Paese.
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